Lo studio di settore è in sostanza uno strumento che il vessatorio fisco del nostro paese usa per analizzare secondo dati statistici medi la coerenza e la congruità dei redditi degli italiani. Con il presente articolo si vuole fornire una guida rapida a come difendersi in caso di accertamenti con il sistema induttivo dello studio di settore tentando di spiegare la materia in modo semplice e non troppo tecnico.
In Italia l’iniquo sistema di accertamento di cui si discute è stato introdotto con decreto legge n. 331/1993 poi convertito con legge n. 427/1993. Lo studio in sostanza calcola in via del tutto presuntiva quello che potrebbe essere il reddito di un’attività sulla base di mere medie statistiche. Purtroppo è subito intuitivo che aprire una qualsivoglia attività non comporta automaticamente l’ottenimento di guadagni in linea con quelli delle altre operanti nello stesso settore, anche se aventi identiche caratteristiche. Altrettanto intuitivo è poi comprendere che, ad esempio, anche un investimento non è sempre indice di corrispondente reddito posto che non è affatto detto che investire generi in ogni caso i profitti sperati. Lo studio di settore dunque potrebbe legittimamente essere utilizzato per iniziare un’analisi più approfondita su un’attività commerciale ma fin dalla sua introduzione ci si è subito domandati se possa da solo costituire insieme di presunzioni gravi precise e concordanti atte a consentire e legittimare l’emissione di un accertamento di specie ultima (appunto l’atto impositivo con la quale l’Agenzia delle Entrate richiede il pagamento di presunte somme evase).
La risposta alla domanda esposta non può che essere negativa. Lo studio di settore, da solo, non consente l’emissione di qualsivoglia accertamento fiscale. Non è dunque possibile accertare il reddito di un’attività commerciale semplicemente sostituendo il reddito dichiarato dal contribuente a quello accertato secondo i parametri statistici dello studio. Evidente che qualora non si ragionasse in tali termini le norme che disciplinano lo studio di settore diventerebbero immediatamente contrarie alla nostra Costituzione prevalentemente in quanto non idonee a fotografare la reale capacità contributiva di qualsivoglia soggetto.
Nonostante ciò le Agenzie dell’Entrate italiane, in totale disprezzo dell’interpretazione costituzionalmente orientata dello studio di settore che la giurisprudenza della Cassazione, anche a Sezioni Unite, ha largamente riconosciuto ed avvallato, continuano ad emettere accertamenti basati unicamente sullo studio con i quali gli Uffici semplicemente sostituiscono i dati dichiarati dal contribuente con quelli desunti dallo sterile meccanismo di cui si dibatte. Ebbene tali accertamenti sono radicalmente viziati ed il contribuente li può (li deve!) opporre nanti alle Commissioni Tributarie nel termine di giorni sessanta dalla loro notifica.
Importantissima, per aumentare le probabilità di vittoria innanzi alle predette Commissioni, è la fase del contraddittorio preliminare all’emissione da parte dell’Agenzia Entrate dell’avviso di accertamento. Tale fase è obbligatoria, se manca il successivo avviso è radicalmente nullo. La fase di contraddittorio consente al contribuente di presentare elementi, anche solo indiziari, che smentiscano le valutazioni del fisco. Già in tale fase dunque è bene farsi assistere, i commercialisti non me ne vogliano, da un giurista che possa meglio consigliarvi su quali elementi porre all’attenzione dell’Agenzia delle Entrate già in una logica di un successivo giudizio a cui fin dal primo momento occorre prepararsi (l’Agenzia Entrate in fase di contraddittorio infatti 9 volte su 10 proporrà un semplice sconto sul totale dovuto indipendentemente dagli elementi realmente presentati dal contribuente). Il successivo accertamento che l’Agenzia Entrate emetterà in esito alla fase di contraddittorio dovrà prendere specifica posizione su ogni eccezione sollevata dal contribuente. In caso contrario l’atto impositivo emesso sarà pacificamente e radicalmente nullo per assenza di motivazione.
Occorre poi smentire un luogo comune che spesso si sente a seguito di una modifica normativa di più che dubbia legittimità costituzionale introdotta nel 2011. In virtù di tale riforma si afferma che anche in caso di ricorso è obbligatorio versare comunque 1/3 delle somme iscritte a ruolo. L’Agenzia delle Entrate utilizza tale nuova norma per invogliare il contribuente destinatario dell’accertamento a definire subito lo stesso allettandolo poi ulteriormente con lo sconto di 1/6 delle sanzioni comminate (Si tenta di far pensare al cittadino che alla fine, visto che anche ricorrendo dovrà comunque pagare subito una parte ingente della somma accertata, sia poco conveniente ricorrere). In realtà, contestualmente al ricorso, è possibile fare istanza di sospensione dell’esecutorietà dell’avviso di accertamento impugnato, istanza che in presenza di oggettivi vizi dell’accertamento stesso è ovviamente accolta nella stragrande maggioranza dei casi. Occorre precisare che non pagando fino all’udienza fissata per la discussione della sospensiva non si corre alcun rischio di subire procedure esecutive e ciò in quanto, contrariamente a quanto spesso si ritiene a causa di una notevole disinformazione, i tempi per passare dall’accertamento all’esecuzione sono decisamente più lunghi (spesso si parla di anni) di quelli necessari non solo a decidere in merito alla sospensiva ma addirittura di quelli per la definizione dell’intero processo tributario di primo grado.
Utile per completare il presente articolo è la citazione di alcune significative pronunzie dei giudici di merito e della Corte di Cassazione (anche a sezioni unite n. 26635/2009). Queste risulteranno ovviamente più ostiche alla lettura per i non addetti ai lavori.
La Commissione osserva che i primi Giudici hanno ritenuto insufficiente la motivazione dell’accertamento perché fa riferimento alle sole risultanze contabili derivanti dalla applicazione dello studio (omissis…) tale assunto è da condividere (omissis…) la motivazione dell’avviso avrebbe dovuto almeno comprendere le motivazioni della ritenuta insufficienza delle giustificazioni addotte in contraddittorio preliminare, e tale carenza non può essere sanata con integrazioni e chiarimenti offerti in sede contenziosa. Commissione Tributaria Regionale Liguria n. 90-11. Sentenza patrocinata da questo studio e disponibile in versione integrale cliccando sul link.
L’applicazione “sic et simpliciter” dello studio di settore ai fini della determinazione del reddito presunto, non costituisce presunzione avente i requisiti voluti dall’art. 2729 c.c. per assurgere a prova del reddito. Così come ormai pacificamente affermato dalla giurisprudenza di merito nel caso in cui gli accertamenti induttivi siano fondati esclusivamente su presunzioni, queste devono essere gravi, precise nonché concordanti. Commiss. Trib. Prov. Sicilia Agrigento Sez. V, 13/12/2013, n. 991
Lo studio di settore non costituisce un sistema di presunzioni semplici, la cui gravità, precisione e concordanza non è ex lege determinata dallo scostamento dei reddito dichiarato rispetto agli standards in sé considerati. Lo studio di settore, invero, rappresenta esclusivamente uno strumento di ausilio per l’Amministrazione finanziaria, al quale, tuttavia, è necessario affiancare altri elementi probatori; esso, inoltre, non può essere utilizzato asetticamente, ma deve essere sempre contestualizzato alla realtà economica produttiva in questione. Commiss. Trib. Prov. Lazio Roma Sez. LXII, 11/12/2013, n. 524
Al fine di poter addivenire ad un valido accertamento, occorre ricostruire induttivamente il volume di affari attraverso l’esame dei conti bancari con controlli incrociati, sì da poter acquisire dati da comparare sia con quelli risultanti dallo studio di settore, sia con quelli dichiarati dal contribuente, onde verificare la sussistenza o meno di gravi incongruenze legittimanti l’emissione dell’avviso. Commiss. Trib. Reg. Toscana Firenze Sez. XXX, 10/10/2013, n. 109
La motivazione dell’avviso di accertamento fondato sugli studi di settore non può esaurirsi nella mera constatazione della sussistenza di uno scostamento fra i ricavi dichiarati e quelli desumibili dallo studio. E’ onere dell’Amministrazione finanziaria ricercare gli elementi, anche indiziari, a sostegno dell’anomalia ed incongruenza di tale scostamento. Commiss. Trib. Prov. Toscana Massa Carrara Sez. I, 14/06/2010, n. 169
La procedura di accertamento tributario standardizzato mediante l’applicazione degli studi di settore costituisce un sistema di presunzioni semplici, la cui gravità, precisione e concordanza non è ex lege determinata dallo scostamento del reddito dichiarato rispetto agli standards, in sé considerati quali meri strumenti di ricostruzione per elaborazione statistica della normale redditività, ma nasce solo in esito al contraddittorio da attivare obbligatoriamente, pena la nullità dell’accertamento, con il contribuente. I risultati dello studio di settore, pertanto, non sono di per sé sufficienti a motivare un accertamento, ma costituiscono semplici indizi che, unitamente e ad integrazione di altri elementi aliunde acquisiti, possono nel complesso assurgere a presunzioni semplici aventi carattere di gravità, precisione e concordanza. Commiss. Trib. Reg. Toscana Firenze Sez. XXXV, 16/09/2013, n. 72
Sussiste vizio di motivazione qualora la pronuncia di merito non tenga conto della sussistenza di elementi oggettivi che inducono a ritenere inadeguato il percorso tecnico – metodologico seguito dallo studio di settore per giungere alla stima, in presenza di cause particolari che hanno potuto influire negativamente sul normale svolgimento dell’attività d’impresa. Cass. civ. Sez. V, 10/04/2013, n. 8706
La Suprema Corte, nell’accogliere l’impugnazione del medico oculista, ha ribadito la natura di presunzioni semplici delle risultanze emergenti dagli studi di settore, presunzioni che possono assumere un serio valore probatorio solo all’esito del contraddittorio; il contribuente ha solo l’onere di dimostrare le ragioni che giustificano una capacità contributiva minore di quella accertata attraverso lo strumento statistico costituito dallo studio di settore applicabile alla sua attività. Cass. civ. Sez. V Ordinanza, 27/05/2011, n. 11893
Il ricorso all’accertamento con adozione dei parametri previsti dal D.P.C.M. 29 gennaio 1996 nei confronti degli esercenti arti e professioni che abbiano optato per il regime di contabilità ordinaria non è ammesso in difetto di inattendibilità delle scritture e di accessi, ispezioni o verifiche. Cass. civ. Sez. V, 20/01/2011, n. 1213
È illegittimo l’accertamento esclusivamente fondato su dati parametrici ricavati da studio di settore specificamente contestati dal contribuente e non altrimenti asseverati dall’Agenzia delle entrate e, peraltro, in assenza di preventivo contraddittorio. Cass. civ. Sez. V Ordinanza, 31/08/2010, n. 18941
Gli studi di settore costituiscono indici rilevatori di possibili antinomie nel comportamento fiscale del contribuente sotto il profilo della divergenza dell’ammontare dei ricavi rispetto all’elaborazione statistica che determina un livello definito “normale” di redditività. Peraltro, in ossequio al principio di capacità contributiva, lo scostamento deve assumere connotato di grave incongruenza e, conseguentemente, l’Amministrazione finanziaria è tenuta alla verifica in contraddittorio della situazione economica del contribuente al fine di accertare la compatibilità fra l’effettiva capacità reddituale del contribuente e gli elementi desumibili dagli studi. In questa ottica, l’ordinamento tributario non ammette che l’elaborazione statistica di cui allo studio di settore assuma automatica valenza ai fini della rettifica del reddito dichiarato dal contribuente: esso rimane delimitato a mezzo di accertamento e non di determinazione della base imponibile con natura di presunzione semplice. L’obiettivo della funzione impositiva è, infatti, assicurare il concorso alle spese pubbliche in relazione alla reale e concreta capacità contributiva incorrendo perciò nel vizio di nullità l’avviso di accertamento che non sia preceduto dall’attività di “adeguamento” dei dati dello studio alla realtà del contribuente debitamente descritta in sede di redazione della motivazione. Cass. civ. Sez. Unite Sent., 18/12/2009, n. 26635.
Lo studio di settore è dunque un avversario che si può davvero sconfiggere nella stragrande maggioranza dei casi e ciò fermo restando che è ampiamente auspicabile che tale iniquo metodo di accertamento, degno di un regime di Stato di polizia tributaria, venga finalmente cancellato dal panorama normativo italiano costituendo l’antitesi a quella cultura del garantismo che dovrebbe contraddistinguere ogni sistema giuridico moderno e che peraltro era prevista dalla nostra, purtroppo troppo spesso ignorata, bellissima Costituzione.
[…] Sul punto si rimanda, per un inquadramento preliminare, anche alla lettura di un mio precedente articolo che ripercorre la giurisprudenza in materia con la conferma che, lo studio di settore non è sufficiente per l’emissione di qualsivoglia accertamento fiscale di specie ultima. Clicca qui per l’articolo. […]
[…] Sul punto si rimanda, per un inquadramento preliminare, anche alla lettura di un mio precedente articolo che ripercorre la giurisprudenza in materia con la conferma che, lo studio di settore non è sufficiente per l’emissione di qualsivoglia accertamento fiscale di specie ultima. Clicca qui per l’articolo. […]