Vi pubblico con piacere questo bel pezzo sul problema dei problemi della nostra società, ovviamente l’ideologia liberista.
L’autore è Enrico Gatto che ringrazio.
Tenerli sotto controllo non era difficile. Perfino quando in mezzo a loro serpeggiava il
malcontento (il che, talvolta, pure accadeva), questo scontento non aveva sbocchi
perché privi com’erano di una visione generale dei fatti, finivano per convogliarlo su
rivendicazioni assolutamente secondarie. Non riuscivano mai ad avere consapevolezza
dei problemi più grandi (George Orwell, 1984).
Il neoliberismo, che è la base economica del moderno capitalismo assoluto (speculativo finanziario),
va necessariamente compreso per inquadrare le attuali dinamiche sociopolitico-economiche
e poiché è la scaturigine del cosiddetto Pensiero Unico (che sostiene
il primato dell’economia sulla politica).
In parole povere si tratta della dottrina economica (cui corrisponde, ovviamente,
un’inscindibile ideologia politica) all’origine di tutti i nostri problemi e, semplificando, altro
non è che la coronazione di un progetto di restaurazione del potere di classe da parte
della “classe dominante” (risalente già agli anni venti del novecento ma iniziato ad
attuarsi negli anni settanta); è la reazione delle élite che tanto avevano perso in termini di
potere e di ricchezza nell’età contemporanea e soprattutto nei “trenta gloriosi” successivi
al secondo dopoguerra (quando le costituzioni “socialiste” associate alle politiche
economiche keynesiane avevano portato benessere ai popoli e forza alle democrazie,
tanto che nello studio Crisi della Democrazia del 1975 commissionato dalla Trilaterale si
parlava della necessità di apatia e spoliticizzazione delle masse e di indebolimento del
sindacato a causa di un pericoloso “eccesso di democrazia” da risolvere anche con
l’introduzione di tecnocrazie).
Quindi, partendo dalle teorie di Von Hayek e con la Scuola di Chicago di Friedman, andò
imponendosi in campo accademico questo nuovo pensiero (grazie, tra le tante, alla
influente Mount Pelerin Society fondata già nel 1947 da Hayek con l’intento di aggregare
varie personalità del mondo intellettuale al fine di ridiscutere il liberalismo classico della
mano invisibile di Adam Smith). Essi contestarono il compromesso keynesiano del
liberismo espansivo con intervento statale (l’embedded liberalism della piena
occupazione e della redistribuzione della ricchezza) e suggerirono di passare alla
deregulation, a politiche di tagli alla spesa sociale, alle privatizzazioni (degli utili e
socializzazione delle perdite), alla finanziarizzazione dell’economia, al monetarismo,
all’austerità, alla deificazione del Mercato e quindi alla definitiva sottomissione dello Stato
e della Politica agli interessi economici dei potentati privati. Il tutto andò in porto grazie
alla diffusione a reti unificate del nuovo credo tramite le “categorie previane” del circo
mediatico, del clero giornalistico ed accademico (“colonizzato”) e del ceto intellettuale
(che, con la sintassi di Bourdieu, è da sempre il gruppo dominato della classe
dominante). Si iniziò dal “test pilota” dopo il golpe di Pinochet in Cile del ’73 e, poi, nei
primi ’80, dai governi occidentali di Thatcher, Regan, Mitterrand e Kohl per arrivare al
capolavoro degli arbitrari parametri di Maastricht (fulcro dell’ordoliberismo) e della moneta
unica europea a cambio fisso con banca centrale indipendente (e, sostanzialmente,
privata). Fin da allora la distribuzione di ricchezza avrà un’inversione di tendenza e andrà
concentrandosi sempre più nelle mani di quella che è di fatto un’oligarchia finanziaria che
non fa che portare avanti programmi a proprio vantaggio e a detrimento dei popoli (vedasi
dati oggettivi sulla sperequazione crescente).
Ciò che si è riassunto in poche righe va contestualizzato all’epoca ed è “solo” la lotta di
classe dopo la lotta di classe (Gallino) ovvero la ribellione delle élite (Lash); è l’operato di
un gruppo, dell’1%, che fa i propri interessi a spese di un altro, quello del 99% (come è
lecito, anche se non etico). Il problema è stata la mancata risposta delle “classi
subalterne” e dei loro rappresentanti (politici e sindacali) che non hanno saputo
interpretare e comprendere i fatti e tendono a non vederli o capirli tuttora (alcuni
“stupidamente”, altri in malafede, sia a sinistra che a destra con l’esaurimento della
storica dicotomia).
Bisogna liberarsi dei mantra che abbiamo introiettato: quelli del There Is No Alternative
(Thatcher), dell’ineluttabile fine della storia (Fukuyama) e del “siamo vissuti al di sopra
delle nostre possibilità”; in realtà tutto è frutto di scelte politiche ed economiche deliberate
e pianificate, il sistema socio-economico nel quale viviamo non è un fatto naturale e
irriformabile e, in quanto tale, non è necessario subirlo, basta pensare e agire altrimenti
(poiché, parafrasando Einstein, non si può risolvere un problema con la stessa mentalità
che l’ha generato). Purtroppo però le idee della classe dominante sono in ogni epoca le
idee dominanti (Marx).
Per giungere a un cambiamento è necessario arrivare a una “massa critica” di persone
consapevoli che comprendano che è in atto una “guerra” (la mai estinta contrapposizione
hegeliana servo-signore), che non cedano all’annoso divide et impera e si compattino
riconoscendo il “nemico” comune da combattere (che personalmente, credo a ragione, ho
identificato appunto nel neoliberismo e nelle sue ricadute politiche e sociali). Dall’iniquo
sistema economico vigente scaturisce l’onnipervasivo e catechizzante Pensiero Unico nel
quale si innervano tutte le esiziali logiche sociali hobbesiane della competizione,
dell’homo homini lupus, del mors tua vita mea, del do ut des, del narcisismo
individualista, dell’egoismo, dell’edonismo, del consumismo e della spietatezza di cui è
malata la nostra società nichilistica egocentrata; le suddette logiche fanno di noi degli
“schiavi perfetti” poiché il velo di Maya (Schopenhauer) ci rende incapaci di vedere le
nostre pastoie e, quindi, impossibilitati a liberarcene. All’interno di quel coagulo di
interessi economici e di valori culturali e morali (il blocco storico di gramsciana memoria)
appare chiaro come il pensiero economico egemone abbia influito cambiando la società
che, come propugnava la Thatcher, davvero non esiste più, esistono solo gli individui:
non più una comunità di animali sociali (Aristotele) ma una massa di homines
oeconomici, di imprenditori di sè, di monadi, la cosiddetta modernità liquida di Bauman
(prodromici furono i movimenti sessantottini e successivamente, grazie al neoliberismo e
alla sua sovrastruttura, il “politicamente corretto”, l’attenzione è stata sempre più
focalizzata sui sacrosanti diritti individuali e civili a spese però di quelli collettivi e sociali).
Perciò, dunque, occorre una rivoluzione culturale che può partire solo da chi ha una
propria coscienza infelice (Hegel) rifuggendo dalla crematistica e ritornando all’equilibrio e
quindi ai concetti di misura e limite come ci insegnano gli antichi greci (è contestualmente
indispensabile anche l’attuazione della Costituzione del 1948).
Rimane un unico ostacolo che Platone conosceva fin da 2400 anni fa: l’eventuale
“liberatore” verrà dapprima deriso e finanche ammazzato da quelli in “catene”: è davvero
eloquente ed attuale il mito della caverna in cui Platone descrive come una realtà
mediata e manipolata viene invece percepita come “verità” dagli sventurati protagonisti
che, poiché nati in cattività, non possono immaginare un’esteriorità rispetto all’antro nel
quale sono imprigionati e quindi, non sapendosi schiavi ingannati, tantomeno ambire alla
libertà.
Enrico Gatto
Avv.Mori una semplice domanda: l liberismo è nato per attuare la politica del consumismo o è la politica del consumismo che ha portato ad attuare il liberismo? Non c’è nessun’altra alternativa per cambiare questo percorso politico che non si sa dove ci porterà. Cioè creare le condizioni economiche che si racchiudono in un circolo una volta creato questo circolo economico sarà sempre così per la sopravvivenza di un Popolo?
Il problema nasce quando in violazione dell’art. 41 Cost. si omette un controllo, un coordinamento ed una disciplina dell’economia da parte dello Stato