Simo arrivati alla scadenza per il pagamento delle imposte sulla casa. Io, come tanti miei Clienti, non pagherò. Vi chiederete il perché. E la risposta è davvero molto semplice: in materia tributaria si è violato ogni limite di decenza letteralmente stuprando ogni norma costituzionale ed imponendo al Paese una gravosa tassazione su beni necessari ed indispensabili.
Dobbiamo parlare di Costituzione quindi. L‘art. 53, inserito nel titolo IV della parte I della Costituzione rubricata “rapporti politici” è la norma chiave in materia e deve essere letta in stretto combinato con l’art. 47, inserito nel titolo III della parte I della Costituzione sotto la rubrica “rapporti economici”.
L’art. 53 Cost. enuncia il principio della capacità contributiva, ovvero il principio secondo il quale ogni cittadino deve concorrere alla spesa pubblica secondo le proprie possibilità economiche, nonché il principio della progressività fiscale a cui l’intero sistema tributario deve uniformarsi. L’inserimento della norma che disciplina i tributi nei “rapporti politici” e non in quelli “economici” non è affatto un caso. I Costituenti erano infatti perfettamente consapevoli che la tassazione non serve per motivi di cassa, ma serve a fare politica economica e monetaria. Non sono le tasse a dover pagare interamente i servizi pubblici ed infatti la norma inequivocabilmente parla di mero “concorso” alla spesa pubblica. Tale principio si sposa con la tutela del risparmio di cui all’art. 47 Cost. ed il conseguente obbligo costituzionale, primigenio rispetto a quello illegittimo del pareggio in bilancio, di attuare politiche di deficit di bilancio per poterlo matematicamente realizzare. (clicca qui per un pezzo sul tema del ruolo del risparmio e della moneta nel disegno costituzionale)
Il termine concorso alla spesa pubblica sta a significare proprio questo, i cittadini non pagheranno tutta la spesa pubblica del paese ma una parte di essa rimarrà nell’economia e nelle loro tasche sotto forma di risparmio perché il livello di tassazione complessivo deve essere inferiore a quello della spesa pubblica. D’altronde è facile comprendere che la spesa pubblica è unicamente il modo con cui lo Stato pompa moneta nel sistema economico e le tasse sono quello con cui parte di tale moneta viene recuperata per redistribuirla nuovamente in un ciclo continuo. Tecnicamente le tasse fanno, proprio per tale fondamentale funzione redistributiva tra le varie classi sociali, politica e non cassa per il Paese. Fu dunque ovvio non inserire la norma che le disciplina nella parte economica della carta fondamentale del nostro Stato. I Costituenti avevano poi chiaro anche che l’unico indice di capacità contributiva era ed è il reddito e che le imposte indirette attuavano ed attuano una progressione alla rovescio incidendo maggiormente sui poveri rispetto ai ricchi. Ergo in seno alla Costituente si riconosceva la possibilità astratta di imposte indirette unicamente sui beni non necessari e di lusso. Ovviamente non si pensava di tassare la prima casa che anzi rappresenta un diritto inalienabile dell’uomo che lo stesso art. 47 Cost. riconosce laddove afferma che la Repubblica “favorisce l’accesso del risparmio popolare alla proprietà dell’abitazione”. Oggi tale favore particolare viene attuato con un’orgia di imposte che colpiscono tale bene primario.
Più in generale nel nostro Paese, in nome di una falsa emergenza economica causata unicamente dalla cessione di sovranità economica e monetaria, si tassano maggiormente i consumi rispetto ai redditi con aberrazioni che appaiono evidenti agli occhi di tutti. La finalità redistributiva delle tasse è così perduta. Gli unici a non accorgersene sono coloro che governano evidentemente troppo presi ad adempiere gli ordini che la finanza impartisce, così perseguendo il completo tradimento dei nostri interessi nazionali.
Leggiamo alcuni passaggi dell’assemblea costituente in modo che il lettore si possa rendere conto degli incredibili passi indietro fatti nella nostra cultura giuridica. Il 23 maggio 1947 si proseguiva nell’esame degli emendamenti relativi al titolo IV del progetto di Costituzione e si dibatteva proprio l’annoso tema della proporzionalità in materia fiscale. Durante tale seduta l’On. Salvatore Scoca, noto giurista e vero promotore della proporzionalità fiscale, poneva all’attenzione dei Colleghi il seguente concetto che ivi si trascrive: “Se pensiamo, infatti, che la massima parte del gettito della imposta diretta è dato ancora oggi dalle tre imposte classiche sui terreni, sui fabbricati e sulla ricchezza mobile, che sono a base oggettiva o reale e ad aliquota costante, mentre comparativamente assai scarso è il gettito della complementare sul reddito globale, che è a base personale ed aliquota progressiva, abbiamo la riprova più convincente che lo stesso sistema delle imposte dirette si impernia sulla proporzionalità (omissis…). Se poi consideriamo che più dei tributi diretti rendono i tributi indiretti e questi attuano una progressione a rovescio, in quanto, essendo stabiliti prevalentemente sui consumi, gravano maggiormente sulle classi meno abbienti, si vede come in effetti la distribuzione del carico tributario avvenga non già in senso progressivo e neppure in misura proporzionale, ma in senso regressivo. Il che costituisce una grave ingiustizia sociale, che va eliminata, con una meditata e seria riforma tributaria (omissis…). La regola della progressività deve essere effettivamente operante; e perciò nella primitiva formulazione dell’articolo aggiuntivo da me proposto avevo detto che il concorso di tutti alle spese pubbliche deve avvenire in modo che l’onere tributario complessivo gravante su ciascuno risulti informato al criterio della progressività”.
Il livello del ragionamento giuridico del 1947 era dunque anni luce superiore a quello attuale. Si aveva ben chiara la manifesta ingiustizia sociale di imposte sui consumi, imposte regressive scorrelate dal principio di capacità contributiva. Imposte che finiscono inevitabilmente per gravare sulle classi più deboli della società.
L’On. Scoca proseguiva illustrando un concetto ancora oggi di estrema attualità: “Da un punto di vista scientifico (se di scientifico c’è qualcosa nella materia finanziaria, o nella scienza delle finanze) si può dimostrare, come è stato dimostrato, che, pur partendo da uno stesso principio, è possibile giungere sia alla regola della proporzionalità che a quella di progressività (omissis…). Resta tuttavia fermo che il sistema tributario nel complesso deve essere informato al principio di progressività (omissis…) Lasciandosi guidare da un sano realismo, non si può negare che una Costituzione la quale, come la nostra, si informa a principi di democrazia e solidarietà sociale, debba dare preferenza al principio della progressività (omissis…). Ho sempre pensato che chi ha dieci mila lire di reddito e ne paga mille allo Stato, con aliquota del 10 per cento, si troverà con 9 mila lire da impiegare per i suoi bisogni privati; mentre chi ne ha centomila, dopo aver pagato l’imposta del 10 per cento in base allastessa aliquota, si troverà con una disponibilità di 90 mila lire. E’ ovvio che per pagare l’imposta il primo contribuente supporta un sacrificio di gran lunga maggiore del secondo, e che sarebbe equo alleggerire l’aggravio del primo e rendere un po’ meno leggero quello del secondo”.
Ecco dunque cosa si intende quando si dice che le imposte indirette attuano una progressione rovesciata. L’iva sugli alimenti, ad esempio, pesa certamente di più, in termini di percentuale di spesa sul reddito complessivo, su un povero rispetto ad un ricco. Le imposte sulla casa agiscono allo stesso modo, pesano più sui redditi bassi che su quegli alti. Spostare le imposte dai redditi ai consumi non comporta equità fiscale ma comporta la distruzione della classe medio-bassa della popolazione.
Non vi è dubbio alcuno che le imposte indirette attuino una progressione alla rovescio ecco perché, sempre in sede di Assemblea Costituente, l’On. Meuccio Ruini ben specificò i paletti per il Legislatore in materia tributaria ovvero specificò in quali casi fosse possibile dare corso ad un’imposizione fiscale non retta dal principio di progressività: “non tutti i tributi diretti possono essere applicati con criterio di progressività. D’altra parte, se ai singoli tributi indiretti non si addice il metodo della progressività, si può e si deve tener presente complessivamente tale criterio, gravando la mano sui consumi non necessari e di lusso”.
Oggi tuttavia paghiamo imposte indirette su beni necessari, indispensabili e non di lusso e paghiamo addirittura imposte sull’abitazione principale ed imposte sugli stessi risparmi. Ecco perché il 16 giugno non mi preoccuperò minimamente di pagare le imposte sulla prima casa e spero che tanti italiani seguono lo stesso percorso. La libertà ed i diritti non sono negoziabili.
La capacità contributiva si misura con il reddito e non con il modo con cui tale reddito è speso, altrimenti si commetterebbe anche l’ulteriore idiozia macroeconomica di penalizzare deliberatamente chi consuma rispetto a chi risparmia con conseguenti danni all’intero sistema economico-sociale. Fino ad oggi la Corte Costituzionale ha mancato di coraggio e non ha mai affermato con chiarezza tale principio anche perché l’art. 53 Cost. non è stato esaminato in combinazione con l’art. 47 Cost. Nessuno ha mai sollevato una questione completa che tenga presente anche il ruolo del risparmio e della moneta nel nostro ordinamento. Mai è poi stata specificata la vera natura delle tasse, natura che pure emerge evidente anche dalla piana presa d’atto dell’ubicazione dell’art. 53 all’interno della Costituzione.
Io non pagherò e voi?