Quarta puntata della pubblicazione del mio libro: “La morte della Repubblica, gli Stati Uniti d’Europa”.
Buona lettura!
D) Avvio del piano industriale, verso l’autarchia economica nei settori chiave.
Come vi ho scritto esistono settori economici così importanti da essere essenziali per la stessa esistenza dello Stato e del suo popolo. Se in tali settori dipendi da un’impresa privata, per di più straniera, la stessa sopravvivenza del paese è in pericolo. Questo tema è stato il life motive di questo libro, non mi soffermerò dunque ancora a lungo. Voglio solo specificare come, a livello d’indirizzo, si debba operare per preparare un piano industriale degno di questo nome. Occorre, dati alla mano, quantificare il fabbisogno della popolazione nei settori chiave, che come specificato sono quello alimentare, quello energetico e quello sanitario. Appurato il fabbisogno si deve comparare lo stesso con la produzione, ancora in mano italiana, di cui disponiamo. Parlo dunque delle imprese all’interno dei nostri confini. Questo ci darà il dato di come intervenire. Laddove sono imprese straniere a garantirci questo fabbisogno, ma esse hanno la filiera produttiva sul nostro territorio, potremmo decidere se espropriarle immediatamente o lasciarle operare. La seconda opzione presuppone che le stesse non ostacolino le politiche del Governo, ovvero che non rifiutino di venderci ciò che producono, alzino eccessivamente i prezzi o addirittura provino a delocalizzare la produzione.
Fin qui è tutto semplice, più complesso è intervenire laddove invece scopriamo che sul nostro territorio una determinata produzione è insufficiente o addirittura inesistente, in quel caso dovremmo creare le necessarie filiere produttive e non potendo aspettare che sia un privato a riempire, con i suoi tempi, lo spazio vuoto del mercato, dovrà essere lo Stato in prima persona a farlo. All’uopo la soluzione più ovvia è ripetere l’esperienza del passato con la creazione di una nuova IRI. In questo contesto lo Stato dovrà riacquisire anche il controllo di ogni settore in monopolio, anche se fosse controllato da aziende italiane. I privati devono operare solo dove esiste una sana concorrenza e non ci si scontri con interessi nazionali, ma laddove ciò non si verifica, nessun intervento che non provenga dal pubblico può essere ammesso. Benché non sia un tecnico, ed il piano industriale sia il terreno in cui dovranno misurarsi grandi esperti di ogni settore, trovo l’autarchia in campo alimentare facilmente raggiungibile. Vedo invece i maggiori ostacoli in ambito energetico e soprattutto sanitario. Parliamo come vi ho detto di autarchia potenziale nei settori di interesse nazionale, ovvero di essere autosufficienti anche da soli, al fine di non dover mai più subire alcun tipo di ricatto. La tecnologia moderna può aiutarci in entrambi i settori, che saranno comunque quelli dove si renderà necessario dare un grande impulso alla ricerca e ci imporranno anche di lavorare su accordi bilaterali. Peraltro energia e salute sono settori in cui è estremamente importante che l’interesse pubblico torni preminente con industrie di Stato poiché in questi campi si versa in perenne conflitto d’interesse. Pensiamo solo alla ricerca medica. Se è indirizzata solo da logiche di profitto, chi commercerebbe mai un farmaco che costa troppo poco ma è in grado di curare una grave malattia? Una multinazionale andrebbe mai contro i propri interessi, rischierebbe davvero di perdere utili per il bene collettivo? Io non credo proprio.
Infine pensiamo anche alla difesa, il detto “se vis pacem para bellum”, in un mondo ancora dominato dai rapporti di forza è sempre tristemente attuale. L’indipendenza di un paese passa anche da una macchina bellica che sappia fungere da deterrente in ogni campo, economia compresa, negarlo è pura ipocrisia.
E) Avvio delle necessarie riforme costituzionali.
Come avrete compreso da questo libro, e forse ancor più chiaramente leggendo il mio precedente lavoro, ho una particolare fiducia nella nostra Costituzione, che reputo il più avanzato esperimento di democrazia reale esistente ad oggi nel mondo. Tuttavia vi sono storture, successivamente introdotte, certamente da rimuovere, nonché interventi migliorativi, al fine che la Carta stessa non possa subire, in futuro, un aggressione simile a quella oggi in corso. Ci sono poi alcune parti che vanno necessariamente adeguate al rinnovato contesto monetario internazionale, all’epoca in cui fu scritta, la moneta era ancora vincolata nelle sue quantità di emissione, erano appunto appena stati stipulati gli accordi di Bretton Woods con il relativo regime di cambi fissi.
In forza dei tempi che la revisione costituzionale richiede ai sensi di legge (art. 138 Cost.), queste non sono riforme che possono essere portate a termine in cento giorni, ma occorre comunque dare immediatamente inizio all’iter necessario.
Ecco in sintesi le modifiche che mi sento di proporre alla nostra Carta fondamentale.
-Art. 10 Cost.
L’obbligo della Repubblica di uniformarsi alle norme internazionali generalmente riconosciute dovrà essere meglio specificato con l’aggiunta dell’inciso “purché esse siano rispettose della norme costituzionali e non comportino cessioni di sovranità”.
Il fatto che esista un ordinamento internazionale infatti non implica automaticamente che esso tenda al bene, anzi la storia ha dimostrato che accade più spesso il contrario. Dunque non ci si può uniformare a scatola chiusa.
-Art. 11 Cost.
Andrà aggiunto un nuovo comma che ribadirà in abbondanza quanto già specificato nel nuovo art. 10: “la sovranità non può essere in ogni caso ceduta”.
-Art. 35 Cost.
Andrà aggiunto come secondo comma il seguente testo: “i cittadini in stato di disoccupazione, che daranno la loro disponibilità, debbono essere immediatamente impiegati nel settore pubblico, in unità esistenti o in quelle all’uopo appositamente costituite con legge ordinaria”.
-Art. 47 Cost.
Andrà così riformulato nella prima parte: “la Repubblica incoraggia e tutela il risparmio in tutte le sue forme, emette sovranamente la propria moneta; disciplina, coordina e controlla l’esercizio del credito, il quale è precluso all’iniziativa privata”.
-Art. 53 Cost.
Andrà così riformulato: “Tutti sono tenuti a pagare le tasse in ragione della loro capacità contributiva al fine di redistribuire equamente la ricchezza disponibile e concorrere alle politiche economiche e monetarie decise dal Parlamento. Il sistema tributario è progressivo”. Ovvero finalmente ci libereremo dall’insensato collegamento, inutile in epoca post Bretton, tra tasse e spesa pubblica. La funzione delle tasse non è quella di finanziare la spesa ma di fare politica monetaria. Parimenti il sistema fiscale non deve solo essere improntato alla progressività, ma deve essere esclusivamente progressivo, con l’abolizione di ogni imposta che si discosti da questo criterio e che quindi tassi beni o consumi indipendentemente dal reddito, così colpendo i poveri in misura ampiamente prevalente.
-Abrogazione della legge costituzionale n. 1/2012.
Va chiaramente abrogato l’intervento riformatore che ha introdotto il pareggio in bilancio in costituzione modificando gli artt. 81, 97, 117 e 119.
-Abrogazione della legge costituzionale n. 3/2001.
Con tale legge furono riformati gli artt. 114, 116, 117, 118, 119, 120, 121, 123, 127, 132 e abrogati gli artt. 115, l’articolo 124, il primo comma dell’articolo 125, l’articolo 128, l’articolo 129 e l’articolo 130. L’intera riforma va cestinata.
-Art. 81 Cost.
La versione primigenia, ovvero nella versione originale del 1948 della norma, andrà così riformulata. I primi due commi resteranno immutati: “Le Camere approvano ogni anno i bilanci e il rendiconto consuntivo presentati dal Governo.
L’esercizio provvisorio del bilancio non può essere concesso se non per legge e per periodi non superiori complessivamente a quattro mesi”. Andrà invece abrogato il terzo comma che disponeva, anche ante riforma del 2012, che: “Con la legge di approvazione del bilancio non si possono stabilire nuovi tributi e nuove spese”. Si dovrà infine riformulare l’ultimo comma: “Ogni altra legge che importi nuove o maggiori spese deve indicare i mezzi per farvi fronte, tra i mezzi di finanziamento è compresa anche l’emissione di moneta direttamente da parte della Repubblica”.
Senza presunzione di completezza, solo dunque per ciò che concerne la messa in sicurezza della Repubblica da parte dell’aggressione del potere economico, queste modifiche sarebbero certamente sufficienti.
F) Ripristino della democrazia sostanziale attraverso la piena attuazione dell’articolo 49 Cost. e una legge elettorale che rispetti i principi di rappresentatività democratica.
L’art. 49 Cost. recita: “Tutti i cittadini hanno diritto di associarsi liberamente in partiti per concorrere con metodo democratico a determinare la politica nazionale”
Il diritto di associarsi dei cittadini e di formare partiti con cui concorrere alla vita pubblica del paese oggi è un diritto esistente puramente sulla carta ma completamente cancellato nella sostanza da tre fattori: leggi elettorali, denaro e media. Infatti la libertà di creare un partito è completamente inutile se non esiste poi la pari libertà di far conoscere al pubblico le proprie idee, parimenti è inutile se esistono leggi elettorali che distorcono i normali principi di rappresentatività democratica. Oggi il voto popolare non è libero, affinché esso possa esserlo, sarebbe necessario consentire ai cittadini di informarsi a 360 gradi e non solo nella direzione del pensiero unico che ci propinano giornalmente. L’attuazione dell’art. 49 Cost. e dunque la piena applicazione della democrazia presuppone pertanto necessariamente la riforma dell’informazione, che deve obbligatoriamente aprirsi a tutte le forze politiche esistenti e non solo a quelle che oggi sono presenti. Inoltre servono fondi anche per i partiti emergenti, senza denaro non si può fare politica, è un dato di fatto che va riconosciuto ancora una volta senza ipocrisia.
Ma andiamo con ordine ad esaminare i tre ordini di interventi necessari al ripristino del normale funzionamento della nostra democrazia.
In primo luogo serve una legge elettorale proporzionale che rispetti appunto il principio di rappresentatività democratica. Ne esiste una sola possibile: il proporzionale puro in assenza di soglie di sbarramento, ovvero con sbarramento minimale allo 0,5% e ciò affinché ogni gruppo di interesse sia adeguatamente rappresentato in Parlamento. Occorre mettersi in testa che la democrazia, quale governo del popolo, sussiste solo a queste condizioni, questo fu il sistema elettorale della Repubblica italiana fino all’avvento del cd. “mattarellum” nel 1993, da nome del suo autore Sergio Mattarella. Ogni altro sistema elettorale, che piaccia o meno, non è democratico. Non posso che ricordare, anche su questo tema, proprio Lelio Basso che già tanto chiaro fu sulla natura della futura Unione europea di cui parlava nel 1949. Negli anni 50 Basso si trovò a commentare una sorta di colpo di Stato in corso attraverso la cd. “Legge Truffa”, con essa si tentava di superare proprio il sistema proporzionale puro introdotto nel 1946. Le sue parole, allora durissime, sono più attuali che mai:
“Oggi non si discute più, da parte di coloro che domandano l’abolizione della proporzionale, quale sia il sistema elettorale più adatto a far nascere un’assemblea che rifletta, come uno specchio, la fisionomia politica del paese, ma al contrario quale sia il sistema elettorale che meglio consenta di deformare questa fisionomia nel paese. Poiché il partito di maggioranza sa di essersi notevolmente indebolito e di non poter più sperare in una maggioranza assoluta tipo 18 aprile, nonostante le pressioni, le minacce, i ricatti, gli interventi esterni, i miracoli, ecc., esso si preoccupa di trovare un sistema che, falsando la volontà del paese,. gli conservi quella maggioranza di cui non può più disporre. Il problema attorno a cui si arrovellano i cervelli democristiani è ormai soltanto questo: data una determinata situazione politica del paese, in cui il governo non dispone più della maggioranza dei consensi, trovare la legge elettorale che gli dia egualmente la maggioranza dei seggi.
Come nel 1924, quando la rappresentanza proporzionale fu sostituita con la legge Acerbo, questo capovolgimento di indirizzo significa il capovolgimento dei principi su cui si fonda la democrazia parlamentare, la quale ha per presupposto appunto l’alternarsi delle maggioranze, cioè la possibilità data alla minoranza di diventare maggioranza, mentre le leggi elettorali basate sui cosiddetti “premi di maggioranza”, del tipo della legge Acerbo: o del tipo degli attuali studi democristiani, hanno invece lo scopo opposto di perpetuare la maggioranza esistente, di creare un blocco massiccio di deputati non sorretto da un’adeguata forza nel paese, e perciò stesso di sopprimere la funzione democratica del Parlamento e annullare la vita democratica del paese. Nove mesi dopo le elezioni fatte con la legge Acerbo nasceva in Italia la dittatura fascista attraverso il colpo di forza del 3 gennaio, che la Camera, nata a sua volta da una legge antidemocratica, non poteva che avallare. Il che in altre parole vuol dire, oggi come ieri, che la soppressione della proporzionale indica la volontà del governo di passare dalla fase di democrazia parlamentare a quella di stato-regime”.
Come per la legge elettorale, anche in merito alle disparità economiche tra partiti già consolidati e partiti che iniziano oggi la loro attività è necessario un intervento radicale, che ribalti tutti i luoghi comuni che fino ad oggi hanno caratterizzato la materia. L’abolizione del finanziamento pubblico è stata una vera follia. Con il sistema attuale sono i privati a consentire ad un partito di esistere, così esso cesserà di porre al primo posto i propri ideali per sposare quelli dello sponsor di turno (scrivevo queste parole nel 2018, il caso Toti di questi giorni vi dice qualcosa?). Il solo finanziamento che andrebbe vietato, con pesanti sanzioni amministrative e penali, è dunque proprio quello proveniente da privati. Si possono certamente ammettere donazioni da parte di singoli, ma gli importi massimi debbono essere fissati in modo che nessuno abbia la forza per imporre una linea politica ad un partito. Il finanziamento pubblico deve tornare a farla da padrone e va calibrato in funzione della reale parità tra i partiti esistenti e non in forza dei risultati elettorali da essi ottenuti.
Non possiamo dare più risorse al partito più forte e pensare che così la democrazia nel paese sia qualcosa di più che meramente formale. Più soldi equivalgono sempre a maggior visibilità e maggior visibilità implica automaticamente più voti. Qualcuno potrebbe dire che penso che gli elettori siano facilmente influenzabili e dunque stupidi. Non è vero, sono semplicemente consapevole che sono esseri umani e l’essere umano è facilmente influenzabile, se non ha la possibilità di ascoltare più punti di vista. Prendo dunque semplicemente atto dei nostri pregi e dei nostri difetti. Solo la pluralità di interlocutori che parlano di un tema può indurci ad una scelta libera e non manipolata dal fatto di aver sentito una sola campana. Peraltro i finanziamenti, se si temono le distorsioni del passato, che hanno portato a gettare l’acqua sporca assieme al bambino, convincendo il pubblico, appunto influenzabile per definizione, dell’erroneità del finanziamento di Stato, potrebbero essere fatti in natura e non in denaro. Mi spiego, ad esempio si potrebbe decidere che ogni partito ha diritto ad avere un certo numero di spazi pubblici, manifesti, spot pubblicitari, ecc. Anziché versare il denaro per pagare questi servizi al partito lo Stato potrebbe farsi carico di corrispondere direttamente il dovuto a chi eroga il servizio stesso.
Non è una legge complessa da stendere nel dettaglio, eliminerebbe le obiezioni di chi teme ruberie, ma garantirebbe a tutti i partiti di essere ben visibili sul territorio. Se tutti i partiti avessero accesso a questa possibilità qualcuno potrebbe però obiettare che ci sarebbe un sovrannumero di forze politiche ed elezioni molto molto affollate. Fermo restando che la pluralità di offerte politiche è una benedizione per la democrazia e non un ostacolo e che anzi più partiti esistono più è difficile per i poteri economici che ben conosciamo (che già possono essere in parte fatti fuori con l’abolizione del finanziamento privato) controllarli, è piuttosto agevole evitare che esistano tanti partiti quanti sono gli italiani.
In sostanza si dovrebbe fare una cosa molto semplice. Prendere un istituto già esistente, quello della raccolta firme e applicarlo solo al momento della creazione di un nuovo partito. Ovvero non si dovranno raccogliere le firme per partecipare alle elezioni, tale sistema vessatorio ed antidemocratico andrà abolito per sempre. Le firme si dovranno raccogliere per diventare un partito ufficialmente riconosciuto, cosa che darà immediatamente diritto alle risorse economiche e all’accesso negli spazi pubblici in condizioni di parità assoluta con tutti gli altri partiti.
In sostanza, fissando un tetto in firme autenticate, tetto su cui si può discutere ma che io ipotizzo nel numero di cinquantamila da raccogliere indifferentemente su tutto il territorio nazionale e senza alcun limite di tempo, si impedirà il fiorire di un numero illimitato di partiti unipersonali. Così facendo si darà spazio solo a chi è seriamente interessato a concorrere alla vita politica del paese e ha argomenti tali da convincere un elettore a rilasciargli una firma. Otterremo un perfetto bilanciamento dei vari interessi in gioco a pieno vantaggio della nostra democrazia. Se poi il partito alle elezioni prenderà meno voti rispetto alle firme raccolte, si può pensare all’obbligo di doverle raccogliere nuovamente per mantenere il proprio status.
E veniamo ora al nodo degli spazi mediatici, che è certamente centrale. Tutti i giornali e televisioni, allorquando parleranno di politica, dovranno dare lo stesso tempo a tutte le forze politiche riconosciute con il meccanismo sopradetto. Se un partito neonato raccoglie le firme necessarie andrà in TV a dibattere anche con la maggioranza di governo e con spazi totalmente paritari. Questo è il solo modo di concepire una vera democrazia.
Chiaramente poi si dovrà distinguere la cronaca dal dibattito, la cronaca resterà ovviamente libera. Dunque si potrà ad esempio spiegare il provvedimento approvato dalla maggioranza, ma se si vuole passare dalla spiegazione al dibattito politico sulla bontà o meno nel merito, tutti dovranno essere interpellati. Solo così il voto degli elettori potrà essere un domani davvero consapevole. Una democrazia simile non sarebbe più governabile da nessuno, il popolo avrà le informazioni necessarie a decidere consapevolmente, sarà davvero sovrano.
Marco Mori, candidato nelle circoscrizione nord occidentale per la Lista “Libertà”.
Una x sul simbolo e scrivi “Mori”.