Un’opposizione avverso il cd. “superbollo” è divenuta lo spunto per considerare, in toto, la legittimità dell’operato degli ultimi governi laddove hanno fatto largo uso dello strumento della decretazione d’urgenza. Qualora questo (ab)uso fosse ritenuto essere illegittimo dalla Corte Costituzionale, tali decreti, e le relative leggi di conversione, diverrebbero prive di effetti nell’ordinamento. Ciò travolgerebbe molte delle misure di austerità introdotte con tale fonte normativa.
Rammentiamo in primo luogo che, in violazione accertata delle norme Costituzionali (sentenza n. 1/2014), oggi il Parlamento è composto da nominati scelti dai partiti. Tenendo a mente questo concetto su cui torneremo, in quanto strettamente correlato alla validità della decretazione d’urgenza, esaminiamo appunto la disciplina costituzionale in materia.
Ai sensi dell’art. 77 Cost., fatti salvi i casi in cui il Governo riceve espressa delega dal Parlamento, la decretazione d’urgenza è vietata: “Il Governo non può, senza delegazione delle Camere, emanare decreti che abbiano forza di legge”. Detta attività diviene possibile solo in presenza di straordinari casi di necessità ed appunto urgenza.
Esaminiamo dunque le garanzie costituzionali per l’emissione di un decreto legge e dunque come si garantisce il rispetto del requisito di necessità ed urgenza straordinaria che deve sussistere affinché il Governo possa compiere un atto proprio del Parlamento. In assenza di tali garanzie procedurali, infatti, si è in presenza di una vera e propria usurpazione di potere da parte del Governo.
I lavori in sede dell’Assemblea Costituente, come di consueto, costituiscono la bussola per orientarsi nell’interpretazione della Costituzione. Durante il dibattito si sono confrontate posizioni completamente contrarie alla decretazione d’urgenza e posizioni che aprivano alla stessa in casi straordinari. Alla fine prevalse la seconda tesi. La lettura dei lavori però è fondamentale per comprendere la ratio della norma e quali siano le garanzie indispensabili per la legittimità dell’emissione di un Decreto Legge. Tra esse ovviamente vi è il ruolo di garanzia del Parlamento all’atto della conversione, ruolo che è venuto meno in forza della legge elettorale L. 21.12.2005 n. 270, il cd. “porcellum”. Ecco una breve sintesi dei lavori.
Partiamo dall’On. Zuccarini durante la sottocommissione:“(Zuccarini) è contrario alla creazione di una Giunta permanente, cui sarebbero affidati dei compiti che devono invece essere assolti esclusivamente dall’Assemblea. Oggi ci si è abituati all’idea che il Governo fa le leggi, le approva e le rende esecutive; ma tutto questo non deve più verificarsi in avvenire; non deve esserci una legge che non sia approvata dalla Camera. Il potere esecutivo deve essere il mandatario del potere legislativo. Pertanto, quell’abitudine non può trovarericonoscimento, sia pur limitato, nella Costituzione, perché ciò farebbe rinunciare la Camera alla sua funzione essenziale”. Tali concetti venivano dunque proferiti già il 20 settembre 1946.
Ovviamente erano argomenti oltremodo ovvi per chi stava “costruendo” una Costituzione di una Repubblica Parlamentare.
Sempre nella medesima seduta ricordiamo anche gli interventi degli Onorevoli Mortati, Bozzi, Enaudi e Tosato che si apprezzano nelle verbalizzazioni che si trascrivono. “Mortati, osserva che l’articolo, come è formulato, conduce necessariamente all’esame del principio della ammissibilità della decretazione di urgenza. Quanto al merito si associa all’onorevole Zuccarini. Che il Governo sia costretto in casi eccezionali e straordinarissimi a prendere un provvedimento all’infuori delle Camere, è una eventualità ammissibile e il quesito che si deve porre è se sia il caso di legalizzare questa eventualità (omissis…) Rileva che di tutti i decreti-legge che la storia parlamentare ricorda, solo una percentuale minima è giustificata dall’urgenza; in tutti gli altri casi questa è un pretesto che il Governo, e per esso la burocrazia, usa per decretare a sua volontà. Contro questo cattivo uso del potere esecutivo bisogna reagire, vietando al Governo l’emissione autonoma di qualsiasi procedimento di urgenza”.
“Bozzi esprime il parere che, in linea di massima, dovrebbe essere vietata al Governo questa facoltà, che è stata una delle piaghe del nostro Paese e che in periodo di Camera aperta è assolutamente inammissibile”.
Anche Einaudi e con particolare rilievo al ramo fiscale fu chiarissimo: “che non da oggi soltanto egli è per il divieto assoluto della decretazione d’urgenza e, senza alcuna eccezione, neanche per i decreti-catenaccio, dei quali nega qualunque giustificazione. Se nel campo fiscale-tributario si temono possibili inconvenienti, spetterà all’amministrazione di ricorrere agli opportuni accorgimenti per evitarli”.
“Tosato è anch’egli contrario alla decretazione d’urgenza per ragioni teoriche generali e per ragioni di carattere particolare. Ricorda che è nella teoria controverso se l’istituto dell’urgenza sia fonte di diritto: alcuni lo negano in ogni caso, altri quando manchi il riconoscimento del carattere di urgenza nel provvedimento. Anche se la facoltà della decretazione di urgenza viene limitata, la questione non è risolta; onde crede più opportuno o andare incontro alla pratica invalsa, o stabilire esplicitamente che l’istituto della decretazione di urgenza è escluso”.
La seduta della sottocommissione si concludeva con la stesura di uno dei concetti chiave dell’art. 77 ovvero mettendo ai voti questa proposta: “Non è consentita la decretazione di urgenza da parte del Governo”. Venne approvata all’unanimità ma poi non trascritta nel progetto di Costituzione da portare nella successiva Assemblea Costituente.
Il 12 novembre 1946, sempre durante le sedute della sottocommissione, si apprezzano ulteriori eleganti dissertazioni contrarie ai decreti legge di altri padri fondatori.
“La Rocca dichiara di essere personalmente contrario a qualsiasi forma di delega del potere legislativo al Governo, e ciò in conformità al principio ormai sancito in tutte le costituzioni, da quella di Weimar a quella recente della Francia, per non parlare di altre, come la russa e la jugoslava. Il potere legislativo non può essere esercitato che dal Parlamento. Aggiunge che, con la delega della potestà legislativa al Governo, si può correre il rischio di far sorgere in un modo od in un altro il deprecato inconveniente dell’emanazione dei decreti-leggi, cosa che assolutamente è da evitare.
“Fabbri che voterà contro la proposta di delegare al Governo la potestà legislativa per le ragioni indicate dall’onorevole La Rocca”.
Passiamo poi alle sedute dell’Assemblea Costituente vera e propria iniziando dal 4 marzo 1947 partendo da uno dei più brillanti (forse il più brillante) pensatori del tempo, ovviamente l’On. Calamandrei.
“Calamandrei. […] Su molti problemi vivi, dei quali pareva che si dovesse trovare nella Costituzione una chiara soluzione, si è preferito di chiuder gli occhi. Enumero rapidissimamente alcuni di questi problemi. C’è quello dei decreti di urgenza. Se ho visto bene, dei decreti di urgenza non vi è accenno nella Costituzione. Il fatto che se ne sia taciuto richiama il ricordo di quelle madri ottocentesche che facevano uscire i figliuoli dal salotto quando la conversazione minacciava di cadere su certi argomenti scabrosi. Nella Costituzione non si deve parlare dei decreti-legge perché questo è un argomento pericoloso. Ma, insomma, potrà avvenire che si verifichi la necessità e l’urgenza, di fronte alla quale il normale procedimento legislativo non sarà sufficiente: il terremoto, l’eruzione di un vulcano. Credete che si possa mettere nella Costituzione un articolo il quale dica che sono vietati i terremoti? Se non si può mettere un articolo di questa natura, bisognerà pure prevedere la possibilità di questi cataclismi e disporre una forma di legislazione di urgenza, che è più provvido disciplinare e limitare piuttosto che ignorarla”.
Ecco dunque il senso dell’apertura dei decreti legge nella costituente, un senso assolutamente pregno di quel concetto di stato di necessità che avrebbe dovuto rendere la decretazione d’urgenza l’estrema ratio, con un Parlamento che doveva ovviamente assurgere a successiva garanzia irrinunciabile.
Interessante poi quanto detto dall’Onorevole Crispo nella seduta del 10.09.1947, in quanto sembra anticipare proprio i pericoli che viviamo in questi giorni. Parliamo ovviamente dell’abuso sistematico nella decretazione d’urgenza che ha finito con il travolgere la democrazia stessa in questo paese. Testualmente dalle verbalizzazioni:“Onorevoli colleghi, parlerò brevemente sul modo in cui il progetto di Costituzione contempla l’attività legislativa del Governo, argomento del quale, a mio avviso, non si rileva mai abbastanza la gravità, per i pericoli enormi che può produrre una legislazione che taluni scrittori definirono una vera e propria usurpazione del potere legislativo da parte del potere esecutivo. E mi occupo esclusivamente di questo tema, perché mi pare che questa parte del Progetto presenti le maggiori manchevolezze, come mi sarà facile dimostrare. Come è noto, l’attività legislativa del potere esecutivo si esplica in una duplice forma: attraverso la delega del potere legislativo; attraverso la forma autonoma del decreto-legge. Il progetto di Costituzione, mentre si occupa dell’attività legislativa delegata, tace del tutto dell’attività legislativa autonoma, quella, cioè, determinata da un vero e proprio stato di necessità e di urgenza. È stato or ora affermato dall’onorevole Codacci Pisanelli che si volle così abolire questa forma di attività legislativa. Non mi sembra che tale opinione sia da accogliersi essendo, ormai, da tutti riconosciuto che la necessità di fatto possa tramutarsi e si tramuti in una fonte di diritto, e che il decreto-legge ha il suo fondamento e la sua legittimità in uno stato di necessità. Basterebbe in proposito ricordare il decreto-catenaccio, tipico esempio di decreto-legge, determinato da opportunità ed esigenze fiscali o finanziarie. Il silenzio del progetto è, dunque, una lacuna che bisognerà colmare (omississ….) Si ritiene che, durante il ventennio fascista, ammontarono a ben 30 mila i decreti-legge emessi dal Governo, alcuni deiquali perfino per la nomina di qualche impiegato. Né farebbe sorpresa che l’abuso continuasse in regime democratico: di qui la necessità di norme atte a stabilire che il decreto-legge può essere emanato esclusivamente nei casi di urgenza e di necessità, ed a precisare che tali casi non sono mai ammissibili quando le Camere legislative sono in funzione. Tali norme dovrebbero essere integrate con quelle relative alla conversione in legge, al termine di presentazione per la conversione, e a quello entro il quale la conversione debba aver luogo”.
Altrettanto d’interesse è la seduta del 16.10.1947 ove anche l’Onorevole Persico tenta di porre argomenti a freno all’attività di decretazione del Governo.
“Il mio emendamento è sotto un certo profilo più largo, ma sotto un altro ha confini così ristretti e precisi da limitare la facoltà del Governo a quei soli casi nei quali è assolutamente indispensabile concederla. Esso stabilisce, infatti, che nei casi di pericolo pubblico — quindi, stato di guerra, stato d’assedio, stato di emergenza, che deriva anche da pubbliche calamità (pensate ad un terremoto che sconvolge tutta una zona del Paese e che abolisce i vincoli di vivere civile che regolano la morale di ogni Stato bene ordinato), o di assoluta inderogabile urgenza, cioè in casi di assoluta indilazionabilità, per cui il provvedimento deve essere (anche senza che vi sia lo stato di guerra) emanato subito, cioè non può essere ritardato di un’ora (e qui rientrano i famosi decreti-catenaccio, che hanno questa necessità assoluta, per non dar tempo agli evasori di evadere quella legge che dovrà punire la loro cupidigia speculativa) — il Governo potrà emanare provvedimenti straordinari aventi valore di legge”.
Ma, a sommesso avviso di chi scrive, il passo più importante è quello che si evince dalle verbalizzazioni dell’On. Ruini del 17 ottobre 1947 ove si apprende sostanzialmente quella che è l’interpretazione autentica di quello che poi è diventato l’art. 47 Cost.
Trattasi di un passaggio fondamentale, soprattutto alla luce della declaratoria di incostituzionalità della legge elettorale avvenuta nel 2014.
“Il Presidente della Repubblica non può emanare decreti aventi valore legislativo, deliberati dal Governo, se non in casi straordinari di assoluta e urgente necessità. In tali casi le Camere, anche se sciolte, sono appositamente convocate e debbono riunirsi entro cinque giorni. I decreti perdono di efficacia se non sono convertiti in legge e pubblicati entro sessanta giorni.
Si è arrivati a questa soluzione, seguendo un ordine, un iter di ragionamento. Si è dapprima posto il quesito se conviene prendere in considerazione o mostrar di ignorare quello «stato di necessità» — come dice una prevalente dottrina — da cui dipende l’emanazione dei decreti-legge. Che vi possa essere stato di necessità — anche se non ha veste di istituto giuridico — è un principio generale di diritto largamente ammesso. A ciò si riconduce il sistema del decreto-legge; usato fra l’altro in Inghilterra, paese classicamente libero, con il successivo bill d’indennità, da parte delle Camere. È stato osservato che (a prescindere dalle particolari garanzie che dà il costume politico in Inghilterra, più che in altri paesi) quanto ivi avviene senza alcuna norma costituzionale, solo in base al costume, sembra più difficilmente ammissibile in paesi a costituzione rigida. Se non vi è norma di costituzione, non solo il decreto-legge ma lo stesso bill d’indennità resterebbero atti incostituzionali.
Per un complesso di considerazioni, alle quali hanno aderito i membri del Comitato, tranne l’onorevole Lucifero, si è ritenuto preferibile prevedere nella Costituzione, per porgli i limiti più rigorosi, il decreto-legge.Non ci ha trattenuti il timore di dare cittadinanza nella Carta costituzionale ad un atto che desta così sfavorevoli ricordi e che solleva indignazione in spiriti liberali, che non riflettono come, non mettendo nulla, si viene a facilitare ed incoraggiare l’uso dei decreti-legge, che nulla può impedire, anche il silenzio della Costituzione che significa divieto; non si avranno limiti; e così si farà, col silenzio, opera anti liberale.
Secondo punto: l’onorevole Mortati aveva avanzato una proposta per cercare di classificare e di individuare i casi nei quali poteva essere ammesso il decreto-legge. Aveva (oltre che allo stato d’assedio, che rinviava al Titolo del potere esecutivo) accennato al caso di una modifica delle tariffe doganali, in cui occorre non solo l’immediatezza, ma anche il segreto per evitare speculazioni ed altri turbamenti. Altri osservò che un caso più specifico di necessità del segreto si ha per le borse; e non solo per la loro diretta disciplina, ma anche pei provvedimenti che possono aver riflesso in borsa, ed è necessario che siano tenuti nella maggior segretezza prima di essere emanati. Se fosse possibile indicare i casi, nei quali soltanto può ammettersi il decreto-legge, sarebbe certamente la via migliore; ed il Comitato ha invitato l’onorevole Mortati a trovare una formulazione adatta e completa; ma lo stesso onorevole Mortati ha finito col riconoscere che non è possibile.
Venuta meno la soluzione di una limitazione, per così dire, di sostanza, che riducesse i casi di decreti-legge soltanto ad alcune categorie di atti, si è — passando al terzo punto nel nostro ragionamento — stabilito di ricorrere ad una limitazione di procedura, che sia molto rigorosa e tale da impedire e colpire gli abusi. Si è pertanto, nel testo che vi ho letto, determinato che non si può ricorrere al decreto-legge se non in casi straordinari di assoluta urgenza e necessità (la forma adottata non è positiva, di autorizzazione al Governo di emettere decreti-legge, ma è negativa: «non possono essere emessi»; anche le sfumature possono servire). Cert’è che, direttamente o indirettamente, si riconosce l’eventualità dei decreti-legge, ma subito si appongono i freni e i limiti più efficaci che si possano pensare.
I provvedimenti presi dal Governo devono essere immediatamente — il giorno stesso della loro emanazione — presentati alle Camere per la loro conversione in legge. Se le Camere non sono già raccolte, devono esserlo, anche se sciolte, non più tardi che entro cinque giorni. L’immediato intervento e l’apposita convocazione delle Camere è un freno molto sensibile per i Governi, che sapranno, nell’emettere decreti-legge, di dover presentarsi subito al Parlamento per affrontare un giudizio di responsabilità, che è implicito nell’atto della conversione, e nulla vieta diventi esplicito, ove il decreto-legge risulti ingiustificato ed ispirato a criteri antiliberali ed antidemocratici. Il Governo ci penserà ad emettere profluvio di decreti-legge, quando sa che basta un piccolo decretino di tal genere, per far convocare le Camere anche disciolte. Sarà di fatto un formidabile freno (ma il cd. porcellum ha fatto saltare il banco! n.d.s.).
Né basta. Vi è un altro freno. Se i decreti-legge non sono convertiti in legge entro sessanta giorni dalla loro presentazione alle Camere, perdono ogni efficacia. Ciò accentua il loro carattere di provvisorietà, e pone un brevissimo termine, nel quale possono aver vigore, senza che intervenga la conversione in legge. Tali i criteri, onorevoli colleghi, che hanno ispirato la disposizione proposta”.
In sostanza l’adozione di una formula negativa circa la possibilità per il Governo di utilizzare lo strumento della decretazione d’urgenza dunque diveniva, nelle intenzioni dei costituenti, il primo dei paletti atti a contrastare l’abuso di questa pratica da parte del Governo che avrebbe dovuto agire per decreto unicamente in casi di urgenza e di estrema necessità. Dunque in situazioni del tutto eccezionali e mai ordinarie.
Nelle tesi dei costituenti sarebbe poi stato il Parlamento stesso a fungere da limite invalicabile agli abusi con la sua attività sovrana, diretta emanazione di quella popolare, all’atto di convertire il decreto.
Il disegno aveva dunque un proprio delicato e condivisibile equilibrio, ferma restando l’impossibilità, ribadita, di addivenire ad un’elencazione tassativa dei casi in cui si potesse provvedere all’utilizzo del decreto legge. Ma ovviamente nel 1947 non si era purtroppo previsto che, ad un certo punto, la sovranità sarebbe stata strappata al popolo che non l’avrebbe più esercitata nelle forme e nei limiti della Costituzione a seguito della soppressione del diritto di voto eguale, libero e personale. In tutto questo infatti si inserisce, con effetti davvero dirompenti, la sentenza della Corte Costituzionale n. 1/2014 che ha sancito l’illegittimità di un Parlamento di nominati dai partiti.
Spieghiamo il perché oggi si può dunque affermare che l’utilizzo del decreto legge avviene fuori dai limiti costituzionali ed in assenza di un controllo democratico e sovrano del Parlamento.
Se ogni potere dello Stato controlla e limita l’altro, il sistema avrebbe potuto e dovuto essere in perfetto equilibrio e la decretazione d’urgenza svolgersi nell’ambito della legalità costituzionale. I tre poteri sono, come ampiamente noto, l’esecutivo, il legislativo ed il giudiziario. Poteri ormai non più in equilibrio in quanto totalmente sbilanciati a favore dell’esecutivo.
Correva il giorno 21 dicembre 2005 quando venne approvata la nuova legge elettorale, il cd. porcellum, con la quale i membri del Parlamento venivano eletti non più in base alle preferenze riscosse, ma secondo l’ordine di inserimento nella lista elettorale decisa dalle segreterie dei partiti. Gli elettori perdevamo così il diritto di preferenza. Il porcellum, pur criticato per la sua evidente incompatibilità con la Costituzione, e’ rimasto incredibilmente in vita fino al recente intervento della Corte Costituzionale che, con sentenza n. 1/2014, ha acclarato l’illegittimità della legge.
Nonostante ciò le Camere non sono state sciolte ed anzi, ciò a piena riprova di quanto sia purtroppo stato importante il passaggio del 2005, visto che poi quel Parlamento nominò anche il suo controllore, ovvero il Presidente della Repubblica Giorgio Napolitano, finalmente dimessosi in data 14 gennaio 2015.
In particolare ai fini del tema che si tratta serve porsi una domanda specifica: avere un Parlamento di nominati quali effetti ha comportato sul piano del bilanciamento dei poteri fondamentali? Il Parlamento può essere ancora il baluardo contro gli abusi della decretazione d’urgenza come affermato da Ruini in perfetta sintesi del pensiero dei costituenti? Certamente no.
Ai sensi dell’art. 67 Cost. i parlamentari vengono eletti senza vincolo di mandato, ovvero non hanno alcun obbligo verso il partito che li ha candidati: “Ogni membro del Parlamento rappresenta la Nazione ed esercita le sue funzioni senza vincolo di mandato”.
Ovviamente un parlamento di nominati, ed è questo il punto, ha finito per introdurre, indirettamente e senza alcuna modifica costituzionale, il vincolo di mandato. Ciò in quanto e’ di palmare evidenza che un’eventuale posizione difforme tra un singolo parlamentare e l’esecutivo finisce con il tagliare fuori dalla politica il dissidente che dopo il porcellum non poteva più far valere all’interno del suo partito il peso dell’approvazione popolare, che si può avere solo passando attraverso il voto di preferenza. Chi dissente, dopo il porcellum, sa già che alle elezioni successive non potrà più prendere posto in Parlamento o comunque non avrà più alcun peso in esso.
Questo ha profondamente inciso nell’equilibrio tra potere esecutivo e legislativo sottoponendo il secondo alla direzione del primo. Il Parlamento, non più alla pari del Governo, approva via via i provvedimenti dell’esecutivo che ricorre sistematicamente e senza freni al voto di fiducia proprio per impedire dibattito e dissenso interno. Proprio con lo strumento del voto di fiducia in un Parlamento di nominati si vanifica quel minimo di garanzia che era necessaria alla legale emissione di un decreto legge.
Questo è il ragionamento chiave. Se anche si ammette la legittimità della prosecuzione dei lavori parlamentari, che ho già criticato (clicca qui), non si può non ammettere che la decretazione d’urgenza compiuta con la combinazione tra un Parlamento di nominati e l’uso della fiducia per forzare la conversione, abbia stravolto i cardini dell’art. 77 Cost. Tale passaggio inficia irreparabilmente l’utilizzo dell’istituto.
La fiducia è stata utilizzata per la conversione dei principali provvedimenti di austerità imposti dal “ce lo chiede l’Europa” così travolgendo integralmente la legittimità della procedura in totale contrasto con l’art. 77 Cost.
Il Parlamentare dissidente, nanti alla certezza di andare al voto senza che la preferenza conti e sapendo di perdere il proprio seggio a causa delle liste bloccate, finisce per adeguarsi alle richieste del partito a cui appartiene e dunque avvalla pedissequamente l’operato dell’esecutivo.
Peraltro con specifico riferimento alla materia tributaria opera, proprio in conformità con il dettato costituzionale, anche l’art. 4 dello cd. “statuto del contribuente” il quale, al di là di ogni possibile dubbio od interpretazione recita testualmente: “Non si può disporre con decreto-legge l’istituzione di nuovi tributi né prevedere l’applicazione di tributi esistenti ad altre categorie di soggetti”. Con buona pace di ogni imposizione fiscale compiuta a colpi di decretazione d’urgenza.
Ho già proposto tale eccezione in giudizio, spero di non rimanere il solo.