Dopo che il Tribunale di Genova ha negato il risarcimento per la lesione del diritto di voto, commessa attraverso quello scempio che era il porcellum, malgrado la condanna alle spese patita (quasi 3.000,00 euro contando anche gli accessori di legge), non abbiamo mollato. Grazie al lavoro degli autori del blog Orizzonte48, punto di riferimento assoluto in Italia, posso offrirvi l’atto d’appello in integrale, atto basato quasi esclusivamente su un commento (splendido) alla sentenza apparso sul citato blog, atto che sarà notificato all’Avvocatura di Stato, nella giornata di domani.
Il rigetto della richiesta risarcitoria era stato motivato incredibilmente sul presupposto che il voto non è un diritto inviolabile dell’uomo. Il nostro obiettivo è arrivare a creare un precedente con il quale, chi legifera in violazione della Costituzione, fatto ormai frequente, sia costretto a pagarne le conseguenze, anche dal punto di vista economico. Questo dovrà diventare un freno alla spregiudicatezza con cui i politici calpestano i nostri diritti in favore dei poteri finanziari sovranazionali.
Ecco l’appello, stavolta in gran parte redatto dagli autori di Orrizzonte48, buona lettura.
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ECC.MA CORTE D’APPELLO DI GENOVA
ATTO DI CITAZIONE IN APPELLO
Nell’interesse dell’Avv. Laura Muzio (C.F.: MZU LRA 79E44 C621P), (omissis…) che ai fini del presente atto si difende in proprio ai sensi dell’art. 86 c.p.c. oltre che, giusto mandato a margine, per mezzo della rappresentanza e della difesa anche ad essa disgiunta dell’Avv. Marco Mori ( C.F. MRO MRC 78P29 H183L – Tel e Fax: 0185.23122 – Pec: studiolegalemarcomori@pec.it) presso il cui studio e la cui persona sito in Rapallo, C.so Goffredo Mameli 98/4, elegge domicilio
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Per la riforma parziale della sentenza n. 2233/2016 – RG. 10421/2014 del 14 giugno 2016 e pubblicata in data 25.06.2016, emessa dal Giudice Dott.ssa Lorenza Calcagno e mai notificata all’esponente.
PREMESSO CHE
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L’esponente non ha potuto esercitare il proprio diritto di voto secondo le modalità conformi ai principi costituzionali del voto “personale, uguale, libero e segreto” (art. 48 comma 2, Cost.) e “a suffragio universale e diretto (artt. 56 comma 1 e 58 comma 1 Cost.) nelle elezioni alla Camera dei deputati ed al Senato della Repubblica svoltesi negli anni 2006, 2009 e 2013 (Doc. 1 – scheda elettorale);
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Tale lesione del diritto di voto è conseguente alla legge elettorale n. 270/2005 poi dichiarata illegittima dalla Corte Costituzionale con sentenza n. 1/2014;
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La lesione del diritto di voto ha determinato un pacifico danno di natura non patrimoniale in capo all’esponente. Tale danno, trattandosi di violazione di precetti costituzionali da risarcire, anche in via equitativa, secondo il prudente apprezzamento del Giudicante;
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Il danno non patrimoniale è risarcibile laddove si è in presenza della lesione di un bene inviolabile previsto e protetto da una norma di rango costituzionale. Innegabile che la lesione del diritto di voto abbia determinato in ogni cittadino un nocumento di natura morale economicamente apprezzabile seppur oggettivamente di difficile quantificazione, come sempre nei casi di risarcimento del danno non patrimoniale relativo ad un bene immateriale di cui è piena la casistica giurisprudenziale;
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Per tali ragioni l’esponente si rivolgeva al Tribunale Civile di Genova, il quale, con sentenza assai sorprendente, rigettava la richiesta risarcitoria. Pur superando l’eccezione di prescrizione avanzata dalla controparte, parte della sentenza che dunque non viene appellata, il Giudicante respingeva la domanda ritenendo non risarcibile un danno non patrimoniale per la mera violazione di un diritto politico.
Tutto quanto premesso, l’Avv. Laura Muzio, ut supra rappresentata, domiciliata e difesa presenta appello avverso la suindicata sentenza per il seguente
MOTIVO
Illegittimità, nullità e/o annullabilità della sentenza per manifesta e grave illogicità e irragionevolezza della sentenza, nonché violazione dell’art. 1 Cost., nel punto in cui dispone che: “L’art. 2 Cost. stabilisce che la Repubblica riconosce e garantisce i diritti inviolabili dell’uomo, sia come singolo, sia nelle formazioni sociali ove si svolge la propria personalità. Basandosi sulla lettera della predetta disposizione, può ritenersi che l’inviolabilità in esame si riferisca all’immanenza o alla vicinanza di taluni interessi al nucleo primario ed essenziale dell’individuo. Sul punto, occorre preliminarmente valutare la natura del diritto in questione, al fine di stabilire se possa essere ricompreso tra i c.d. “diritti inviolabili” della persona onde individuare poi la tutela ad esso riconducibile.
L’attribuzione della qualifica dell’inviolabilità ai diritti politici, quale è il diritto di voto previsto e tutelato dall’art. 48 Cost., rappresenta una questione controversa, in quanto è necessario che tali diritti siano bilanciati con specifici interessi pubblici e sociali, oltre ad essere sottoposti a determinate condizioni di esercizio stabilite dalla legge o dalla stessa Costituzione. Se è vero che i diritti inviolabili sono anzitutto diritti “umani”, cioè dell’uomo in quanto tale e non, ad esempio, in quanto cittadino, i diritti politici (omissis…)non dovrebbero farsi rientrare nella categoria delle situazioni giuridiche inviolabili riconosciute e protette dall’art. 2 Cost..
Il diritto di voto personale, eguale e libero, la cui lesione è dedotta dall’attrice nel presente giudizio pertanto, non può essere ricompreso tra i diritti inviolabili di cui alla sopracitata disposizione costituzionale, proprio in considerazione della sua natura non strettamente “personale”.
Riforma della sentenza nel senso di ritenere il diritto di voto un diritto inviolabile della persona per la ragione che se l’art. 48 Cost. costituisce una “proiezione” del principio fondamentalissimo di “sovranità popolare” contenuto nell’art. 1, la sua violazione comporta in re ipsa non solo la violazione dell’art. 2 Cost., ma anche di tutti gli altri articoli e principi fondamentali a seguire e pertanto il riconoscimento di un danno non patrimoniale è indubbio ed incontestabile.
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L’attrice ha addebitato alla Presidenza del Consiglio dei Ministri ed al Ministero dell’Interno la responsabilità derivante dalla promulgazione di una legge elettorale contraria ai precetti costituzionali, legge che avrebbe impedito all’interessata di esercitare il proprio diritto nella modalità del voto “personale, uguale, libero e segreto” (art. 48, comma II, Cost.) e “a suffragio universale e diretto” (artt. 56, comma I, e 58, comma I, Cost.), determinando in tal modo la violazione dell’art. 2 Cost..
Nello specifico, l’attrice non ha quindi potuto esprimere la propria preferenza per un singolo candidato, sulla base del fatto che la legge elettorale dichiarata incostituzionale affidava agli organi di partito la compilazione delle liste dei candidati ed il relativo ordine, e, inoltre, la previsione del c.d. premio di maggioranza ha violato il diritto all’uguaglianza del proprio voto rispetto a quello di ogni altro cittadino.
La richiesta è stata in modo incredibile disattesa dal giudice sulla base, soprattutto, delle seguenti argomentazioni:
“… si osserva che l’attrice fonda la propria domanda sulla asserita lesione del diritto di voto come costituzionalmente disegnato e allega un danno di natura non patrimoniale, risarcibile laddove, come nel caso di specie, vi sia stata una violazione di un bene inviolabile previsto e protetto da una norma di rango costituzionale. L’art. 2 Cost. stabilisce che “la Repubblica riconosce e garantisce i diritti inviolabili dell’uomo, sia come singolo, sia nelle formazioni sociali ove si svolge la propria personalità”. Basandosi sulla lettera della predetta disposizione, può ritenersi che l’inviolabilità in esame si riferisca all’immanenza o alla vicinanza di taluni interessi al nucleo primario ed essenziale dell’individuo. Sul punto, occorre preliminarmente valutare la natura del diritto in questione, al fine di stabilire se possa essere ricompreso tra i c.d. “diritti inviolabili” della persona onde individuare poi la tutela ad esso riconducibile.
L’attribuzione della qualifica dell’inviolabilità ai diritti politici, quale è il diritto di voto previsto e tutelato dall’art. 48 Cost., rappresenta una questione controversa, in quanto è necessario che tali diritti siano bilanciati con specifici interessi pubblici e sociali, oltre ad essere sottoposti a determinate condizioni di esercizio stabilite dalla legge o dalla stessa Costituzione. Se è vero che i diritti inviolabili sono anzitutto diritti “umani”, cioè dell’uomo in quanto tale e non, ad esempio, in quanto cittadino, i diritti politici – che tali sono in quanto il soggetto titolare appartiene ad una comunità politica, e non semplicemente al genere umano –non dovrebbero farsi rientrare nella categoria delle situazioni giuridiche inviolabili riconosciute e protette dall’art. 2 Cost..
Il diritto di voto personale, eguale e libero, la cui lesione è dedotta dall’attrice nel presente giudizio pertanto, non può essere ricompreso tra i diritti inviolabili di cui alla sopracitata disposizione costituzionale, proprio in considerazione della sua natura non strettamente “personale”.
Non è esagerato sostenere che il riportato passaggio motivazionale – per le conseguenze che ne derivano – rappresenti un tipico esempio di “precomprensione”, ovvero di anticipazione pregiudiziale del senso delle norme, “…discendendo da un condizionamento politico, psicologico, sociale – inteso come riflesso degli assetti dominanti sulle “ragioni del comprendere del singolo interprete”; come tale, la precomprensione dissimula “operazioni apparentemente logiche ma viziate, più o meno inconsciamente, da pregiudizi e presupposti che, pur personali, sono spesso il recepimento acritico di un “comune sentire” proprio delle forze sociali dominanti; essa perciò può condurre a interpretazioni che “vulnerano” la giustizia, l’equità … la verità dinamica la cui ricerca dà senso al diritto”. Vediamo allora di venirne a capo.
La Costituzione italiana, com’è noto (o come dovrebbe esserlo), nel sancire che l’Italia è una Repubblica “democratica” fondata sul lavoro”, attribuisce il massimo rilievo al principio della sovranità popolare (art. 1).
All’accoglimento del principio della sovranità popolare – nell’ambito di un sistema di democrazia rappresentativa come quella italiana – non poteva che accompagnarsi come corollario naturale l’elettorato attivo, come diritto spettante a ciascun cittadino quale titolare di una “particella di sovranità” (secondo la nota formulazione rousseauiana) di concorrere alla vita repubblicana. Il collegamento diretto e necessario tra sovranità popolare e diritto di voto (come modo imprescindibile di esercizio della prima) emerge in modo inconfutabile dai lavori della Costituente.
Già la Relazione al Progetto di Costituzione presentata alla Presidenza dell’Assemblea il 6 febbraio 1947, nell’avvertire che “Non si comprende una costituzione democratica, se non si richiama alla fonte della sovranità, che risiede nel popolo: tutti i poteri emanano dal popoloe sono esercitati nelle forme e nei limiti della costituzione e delle leggi”, riportava quanto segue “Deve bensì rimanere fermissimo il principio della sovranità popolare. Cadute le combinazioni ottocentesche con la sovranità regia, la sovranità spetta tutta al popolo” con l’importante precisazione che “…La sovranità del popolo si esplica, mediante il voto, nell’elezione del Parlamento e nel referendum…”.
Nelle varie sedute della Seconda Sottocommissione che avrebbero portato alla scrittura dell’attuale art. 48 Cost., il tema dello stretto legame tra diritto di voto e sovranità viene affrontato a più riprese dai Costituenti.
Nella seduta del 12 settembre 1946, l’on. Conti, quale Presidente vicario, comunicava che “…dai contatti presi con la prima Sottocommissione per conoscere come questa abbia trattato la questione dell’elettorato attivoe del suffragio popolare, è risultato che essa non ha ancora preso in merito alcuna decisione. In una relazione dell’onorevole Bassosui principî dei diritti politicisi propone, tra l’altro, l’approvazione di un articolo 1 del seguente tenore:
“La sovranità popolare si esercita attraverso la elezione degli organi costituzionali dello Stato, mediante suffragio universale, libero, segreto, personale ed eguale. Tutti i cittadini concorrono all’esercizio di questo diritto tranne coloro che ne sono legalmente privati o che volontariamente non esercitino un’attività produttiva”.
Preoccupazione esternata ancor prima dall’on. Lussu il quale, nella seduta del 10 settembre 1946, faceva presente che “allorché si tratterà di compilare il testo definitivo… la Costituzione dovrebbe contenere anzitutto un accenno alla sovranità popolare”.
Nella seduta del 19 maggio 1947, l’on. Caristia affermava a sua volta “Democrazia e repubblica sono i pilastri della nuova Costituzione, e la democrazia, nel suo aspetto politico, ch’è quello sostanziale, si attua attraverso il godimento e l’esercizio del diritto elettorale attivo…”.
Nella seduta del 20 maggio 1947 l’on. Piemonte aveva altresì modo di ribadire che “l’espressione del voto politico è un atto di sovranità”, mentre nella seduta del giorno successivo l’on. Canepa spiegava chiaramente che il cittadino partecipa alla sovranità “coll’esercizio del voto”.
La ragione per cui nella redazione dell’attuale art. 48 Cost. non si fece poi accenno alla sovranità è ricavabile dalle parole dell’on. Tosato il quale, concordando con il presidente Terracini, affermava che “… quando si dice che sono eleggibili e sono elettori tutti i cittadini, ecc., è implicito in ciò il principio della sovranità popolare…”.
Se le parole dei Costituenti hanno ancora un minimo di senso compiuto, dalle stesse si ricava che l’elettorato attivo costituisce il diritto di ogni cittadino di concorrere col voto alla formazione della volontà nazionale, il diritto di esercitare attraverso il voto la propria parte di sovranità.
Tale diritto previsto dall’art. 48 Cost. è perciò annoverato dalla dottrina nella categoria dei “diritti soggettivi pubblici” e, più specificamente, costituisce uno ius activae civitatis che vede, cioè, il cittadino titolare di una pretesa a partecipare alle elezioni degli organi rappresentativi dello Stato nonché a votare nei vari referendum, una posizione giuridica soggettiva garantita nei confronti dello stesso legislatore.
Non può parlarsi, in definitiva, di “sovranità” democratica senza il diritto soggettivo assicurato ad ogni cittadino di poterla esercitare in concreto. E la sovranità si esercita in concreto, almeno in fase iniziale, mediante il voto.
In via di prima approssimazione, di conseguenza, impedire o limitare il diritto di voto corrisponde a violare direttamente innanzi tutto l’art. 1 Cost., fatto completamente ignorato nelle motivazioni dal Giudice di primo grado.
L’articolo 1, in tal senso, assurge per Mortati a “supernorma” poichè i suoi “principi generalissimi” imprimono un “preciso contenuto” normativo…potenziato” e perchè fornisce “il supremo criterio interpretativo di tutte le altre disposizioni”; ciò in quanto la titolarità del potere supremo della sovranità democratica “…si pone come logico fondamento dell’ordine…”.
Non esiste quindi nell’ordinamento, contrariamente a quanto affermato dal Giudice di promo grado diritto più supremo ed invuolabile di questo.
Per essere ancora più chiari: la Costituzione attribuisce al popolo soprattutto l’esercizio della sovranità e l’esercizio della sovranità “praticamente è tutto”; in assenza di concreto esercizio, la sua titolarità è “nulla”.
Stessi principi sono stati peraltro ribaditi dalla stessa Consulta la quale, sul punto, non poteva che affermare come “…la volontà dei cittadini espressa attraverso il voto … costituisce il principale strumento di manifestazione della sovranità popolare, secondo l’art. 1, secondo comma, Cost.”.
Bisogna però precisare, come accennato, che l’esercizio della sovranità mediante l’elettorato attivo va ben oltre al “solo potere di votare”, dal momento che le modalità del voto tutelano l’esercizio continuo della sovranità dello Stato democratico,
“… nel quale la democrazia ha un carattere di massa e permanente, nel senso che nonsi esaurisce nel semplice atto elettorale: il suo esercizio del potere, infatti, non è puramente fittizio, limitato alla scelta delle persone che eserciteranno il potere per conto del popolo e, in ultima analisi, sul popolo, ma è un esercizio del potere continuo…”.
Lo stesso Gramsci in tal senso aveva già avuto modo di spiegare bene come “… il consenso non ha nel momento del voto una fase terminale, tutt’altro. Il consenso è supposto permanentemente attivo … chi consente si impegna a fare qualcosa di più del comune cittadino legale, per realizzarli [programmi di lavori], a essere cioè una avanguardia di lavoro attivo e responsabile. L’elemento «volontariato» nell’iniziativa non potrebbe essere stimolato in altro modo per le più larghe moltitudini, e quando queste non siano formate di cittadini amorfi, ma di elementi produttivi qualificati, si può intendere l’importanza che la manifestazione del voto può avere…”.
Considerata la sovranità democratica in senso dispiegatamente dinamico “innescata” mediante il momento iniziale e fondamentale del voto, essa è così in grado di conformare i comportamenti dei cittadini (sovrani) i quali – in quanto popolo “sempre nell’esercizio delle proprie funzioni” – sono in grado di determinare in concreto la politica nazionale (art. 49 Cost.), partecipare alla vita del paese (art. 3 Cost.), concorrere al progresso materiale e morale di quest’ultimo (art. 4 Cost.), amministrare la giustizia (art. 101 Cost.), insomma realizzare nella sostanza – attraverso i plessi Parlamento e Governo (la “Repubblica”) diretta emanazione del popolo sovrano – quella democrazia “necessitata” del lavoro, pluriclasse e redistributiva costituente il programma ultimo ed irrinunciabile che innerva tutto l’impianto della nostra Carta Costituzionale.
Svolta tale ulteriore e basilare premessa, si può conseguentemente ribadire che impedire o limitare il diritto di voto di cui all’art. 48 Cost. corrisponde a violare in modo certo e diretto l’art. 1 Cost. (appunto supremo principio di sovranità popolare), ma significa altresì, e per ciò stesso, vulnerare a cascatatutti gli altri principi contenuti nei successivi undici articoli della Costituzione (c.d. principi fondamentalissimi).
Infatti, se la sovranità “è praticamente tutto” e se la stessa “si pone come logico fondamento dell’ordine”, violare il fondamento decreta logicamente lo sconvolgimento, o meglio, la dissoluzione dell’ordine stesso (sub specie azzeramento della sovranità). Il senso della frase “la sovranità è tutto” ci dice più semplicemente che la stessa costituisce l’alfa e l’omega della democrazia costituzionale.
Ora, non deve destare meraviglia il fatto che la violazione di un “semplice” diritto politico come quello contenuto nell’art. 48 Cost. abbia così nefaste ripercussioni su tutti gli altri diritti fondamentali. Ed infatti, bisognerebbe sempre rammentare che la Costituzione italiana è “…strutturata secondo uno schema formale che potremmo definire “tradizionale”, che risale alle Costituzioni della Rivoluzione francese…Le parti che definiscono e organizzano i compiti e le attività dei vari organi costituzionali sono precedute dalla enunciazione di una serie di principi fondamentali (articoli da 1 a 12); questi principi, a loro volta, enunciano, in modo diretto ovvero indiretto …un catalogo di diritti fondamentali “base”, cioè quelli da cui discendono tutti gli altri diritti che ne costituiscono una diretta proiezione, e che sono disciplinati nelle diverse parti della Costituzione…”.
Ricordando il pensiero di un grande giurista nonchè egli stesso autorevole Padre Costituente, è possibile affermare che “Una costituzione non consiste in una serie di articoli più o meno ben allineati, e neppure in un complesso di uffici e di istituti giuridici, ma è invece una totalità di vita associata, un organismo vivente”. Gli articoli della Costituzione italiana sono quindi avvinti in una “…armonia complessa…dove tutto ha un significato, e dove ogni parte si integra con le altre parti…”.
Di detti princìpi, sia consentito per inciso, dovrebbe far tesoro anche il legislatore costituzionale dell’ultima ora in veste di “apprendista stregone” e nel cui approccio riformista sembrano intravvedersi sempre più le sembianze di un medico all’obitorio, che opera su un corpo senza vita.
Se è chiaro quanto detto, appare a dir poco cavilloso e formalistico affermare – basandosi semplicemente “sulla lettera” dell’art. 2 Cost., come ha fatto il Tribunale di Genova – che “il diritto di voto personale, eguale e libero”, la cui lesione era stata lamentata dall’interessata, non possa essere ricompreso tra i diritti inviolabili (rectius, fondamentali).
Una statuizione di tal fatta denuncia in modo allarmante la mancanza di una visione sistematica ed organica dell’ordito costituzionale così come concepito dai Costituenti. Ed invero, bisogna ribadire con forza che se l’art. 48 Cost. costituisce una “proiezione” del principio fondamentalissimo di “sovranità popolare” contenuto nell’art. 1 (e che sia così non dovrebbe a questo punto esservi dubbio), la sua violazione comporta in re ipsanon solo la violazione dell’art. 2 Cost., ma anche di tutti gli altri articoli e principi fondamentali a seguire.
L’art. 48 Cost., infatti, riferendosi ad una situazione soggettiva di vantaggio proiezione del principio sovranitario, nonostante afferisca formalmente all’ambito dei diritti politici, deve essere intesa nella sostanza – sia ai fini del trattamento sia dell’eventuale regime di limitazione introducibile con legge (c.d. riserva assoluta di legge) – come un diritto inviolabile stricto sensu, assai più garantita dell’altra riguardante parimenti il diritto inviolabile di “elettorato passivo” di cui all’art. 51 Cost..
Quanto poc’anzi esposto è stato illustrato dalla giurisprudenza della Corte costituzionale, allorchè la stessa ha affrontato, cona la sentenza n. 120/1967, il problema del riconoscimento del diritto di voto agli stranieri residenti. Secondo la Corte, se gli artt. 2 e 3 Cost. si applicano indipendentemente dallo status di cittadino (“…l’art. 2 riconosce a tutti, cittadini e stranieri, i diritti in violabili dell’uomo”) e se innegabile che “l’art. 3 si riferisce espressamente ai soli cittadini, è anche certo che il principio di eguaglianza vale pure per lo straniero quando si tratti di rispettare quei diritti fondamentali”.
Tuttavia, non tutti i diritti riconosciuti dalla Costituzione sono da ritenere in modo indistinto attribuiti a cittadini e stranieri: i “diritti inviolabili della persona” ai quali si riferisce la sent. n. 120/1967 costituiscono, infatti, secondo la Corte (cfr. sent. n. 104/1969), “un minus rispetto ai diritti di libertà riconosciuti al cittadino”.
Ed infatti, “…la riconosciuta uguaglianza di situazioni soggettive nel campo della titolarità di diritti di libertà non esclude affatto che, nelle situazioni concrete, non possano presentarsi, fra soggetti uguali, differenze di fatto che il legislatore può apprezzare e regolare nella sua discrezionalità, la quale non trova altro limite se non la razionalità del suo apprezzamento”, con particolare riferimento alla “basilare differenza esistente tra il cittadino e lo straniero, consistente nella circostanze che mentre il primo ha con lo Stato un rapporto di solito originarioe comunque permanente, il secondo ne ha uno acquisito e generalmente temporaneo” (così Corte Cost. sent. n. 104/1969).
Tradotto in termini più semplici: il diritto di voto, seppur fondamentale ed inviolabile, non può essere riconosciuto erga omnes, ma solo ai cittadini. Verrebbe da aggiungere “perché solo ai cittadini appartiene la sovranità”.
Non incide, da ultimo, sulla natura inviolabile del diritto elettorale attivo la circostanza per cui l’art. 48, comma II, Cost., definisca l’esercizio del voto come un “dovere civico”. E’ stato chiarito al riguardo che trattasi di una situazione giuridica che, come si desume dalla stessa lettera della Costituzione, è estranea a quelle di doverosità in senso giuridico.
In definitiva, e di contro a quanto erroneamente sostenuto dal Tribunale di Genova, “l’attribuzione della qualifica dell’inviolabilità ai diritti politici” (nel caso, il diritto di votoex art. 48 Cost.), lungi dall’essere “controversa”, non potrebbe essere invece più pacifica.
Ciò che suscita fortissime perplessità, non è solo la circostanza per cui il giudice di merito – mediante una interpretazione del tutto fuorviante – abbia negato al diritto di voto la qualifica di “inviolabilità”, ma ancor prima il fatto che non si sia nemmeno sforzato di recuperarne, a monte, quantomeno la valenza stessa di diritto soggettivo.
Non è grave soltanto che il Tribunale non abbia riconosciuto che il diritto di voto è fondamentale e inviolabile (precedente pericolosissimo per la stessa esistenza della democrazia e dunque da cancellare rapidamente), ma altresì, che non lo abbia nemmeno tutelato come semplice diritto soggettivo. E ciò nonostante che la Corte di Cassazione si fosse già espressa sul punto.
Ad oggi, pertanto, risulta che il diritto di voto non solo non sarebbe inviolabile, ma non sarebbe prima ancora nemmeno un diritto. Questo è quanto la sentenza sancisce in modo espresso e con chiarezza adamantina.
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Riproposizione di tutte le domande e/o eccezioni non esaminate e/o non accolte nel giudizio conclusosi nanti al Tribunale Civile di Genova.
In ogni caso si ripropongono in questa sede ai sensi dell’art. 346 c.p.c. tutte le domande ed argomentazioni formulate nel corso del giudizio di primo grado non esaminate e/o disattese.
Per il suoesposto i l’esponenente
CITA
La Presidenza del Consiglio dei Ministri in persona del Presidente protempore, il Ministero dell’Interno in persona del Ministro protempore, tutti presso l’Avvocatura Distrettuale dello Stato corrente in Genova, Viale Brigate Partigiane n. 2, a comparire nanti la Corte d’Appello di Genova, per l’udienza del 25 maggio 2017, ore e luoghi di rito, invitando espressamente i convenuti a costituirsi in giudizio ai sensi e nelle forme dell’art. 166 c.p.c. con avvertimento che la tardiva costituzione implica le decadenze di cui agli artt. 38 e 167 c.p.c., con riguardo ad eventuali domande riconvenzionali e chiamate di terzo. Con avvertimento che in difetto di costituzione si procederà in sua legittima declaranda contumacia, per ivi sentire accogliere le seguenti
CONCLUSIONI
Voglia l’Ecc.ma Corte d’appello adita, contrariis reiectis riformare la sentenza impugnata nelle parti appellate e per l’effetto accogliere le già rassegnate conclusioni:
“Piaccia all’Ill.mo Tribunale adito, contrariis reiectis, per le causali di cui in narrativa, accertare che l’esponente non ha potuto esercitare il proprio diritto di voto nelle elezioni per la Camera dei Deputati ed il Senato della Repubblica svoltesi successivamente all’entrata in vigore della L. n. 270/2005 e sino alla data della presente citazione o quantomeno sino a quella della pubblicazione della sentenza della Corte Costituzionale n. 1/2014, secondo le modalità previste dalla Costituzione, del voto personale, eguale, libero e diretto e conseguentemente condannare, eventualmente anche in solido tra loro, la Presidenza del Consiglio dei Ministri in persona del presidente protempore nonché il Ministero dell’Interno in persona del Ministro protempore entrambi presso l’Avvocatura Generale dello Stato corrente in Genova, Viale Brigate Partigiane n. 2 a risarcire il danno non patrimoniale conseguente alla lesione del bene previsto e tutelato (il voto) dalle norme di rango costituzionale citate e ciò ai sensi e per gli effetti del combinato disposto degli artt. 89 cost., 2043 c.c., 1 L. n. 400/1988 ovvero per le altre norme meglio viste e ritenute con quantificazione in via anche equitativa o nella misura che sarà determinata in corso di causa secondo il prudente apprezzamento del Giudicante ed in ogni caso non superiore alla somma di € 5.100,00.
In ogni caso con vittoria di spese e competenze professionali.
Con ogni più ampia riserva di ulteriormente dedurre e produrre nei termini concedendi.
Ai sensi dell’art. 9 comma 5 L.466/88 si dichiara che il valore della causa è compreso è pari ad € 5.100,00 pertanto il contributo unificato da versare è pari ad € 147,00.
Ai sensi e per gli effetti di legge, il sottoscritto procuratore dichiara di volere ricevere le comunicazioni relative alla presente procedura al seguente numero di fax 0185.231221.
Si producono i seguenti documenti:
A1 – Copia uso appello sentenza impugnata;
A2 – Fascicolo primo grado;
Rapallo, 24 gennaio 2016
Avv. Laura Muzio Avv. Marco Mori
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Avv. Marco Mori – Riscossa Italia, autore de “Il tramonto della democrazia, analisi giuridica della genesi di una dittatura europea”, disponibile on line su ibs