Che il governo giallo-verde non fosse un governo sovranista doveva essere chiaro immediatamente a qualsiasi persona che si fosse informa sui fatti e i contenuti, anziché sugli spot televisivi. Il mio no al corteggiamento della Lega Nord è stato determinato proprio da questa consapevolezza ovviamente, consapevolezza che traeva origine da fatti oggettivi ed incontestabili.
Sovranità e dunque essere sovranisti significa voler riscattare l’indipendenza e il potere d’imperio della nazione per esercitarlo in conformità con la nostra Costituzione, che come noto mette al bando l’ideologia liberista ponendo all’iniziativa privata il paletto invalicabile dell’utilità sociale.
Attuare politiche sovraniste implica quindi restituire l’Italia al nostro popolo e ripristinare la democrazia, oggi sospesa per volere di gruppi di potere economico sovranazionali, che neppure si nascondono più. Ormai il potere economico interagisce sfacciatamente e pubblicamente con la politica, attraverso le associazioni che ha creato.
Al contrario, qualsiasi posizione che invece comporti una negoziazione dei limiti imposti dal vincolo esterno non appartiene al sovranismo, ma al collaborazionismo. Accettare di migliorare la vita in cella è ben diverso dal decidere di rompere la gabbia.
Eloquente sul tema un recente tweet di Claudio Borghi, a cui inevitabilmente ho dovuto rispondere con una “botta” di cretino. Ma se l’è meritata tutta, perché è difficile leggere certe idiozie da chi diceva di stare dalla tua stessa parte.
Nel merito dei fatti vi rammento che il programma di governo si è posto fin dal principio in ottica collaborazionista. Infatti, anziché essere diretto al riscatto della sovranità, è diretto ad attuare ulteriori cessioni della stessa rafforzando, cito testualmente dal punto 29 dell’accordo di governo, incisività e capacità decisionale dell’UE nelle materie di sua esclusiva competenza. Sempre il programma di governo parlava di cittadinanza europea e della necessità di portare avanti il processo d’integrazione.
Paolo Savona, gruppo Aspen (a proposito di poteri economici sovranazionali), ha messo al primo punto della sua personale agenda la creazione della cittadinanza europea. Inutile sottolineare che se esiste un cittadino europeo, deve necessariamente esistere anche uno Stato europeo. Ed ecco il punto centrale, la bussola del governo, è quella di traghettarci verso gli United State of Europe, senza reazioni popolari tali da fermare il processo.
Ovviamente la carota per spingerci ad accettare le ulteriori cessioni di sovranità necessarie a completare il progetto europeo sarà, come già ventilato dagli esponenti del governo, quella della fine dell’austerità. Essa sarà attuata attraverso la creazione di una banca centrale prestatrice illimitata di ultima istanza, punto ormai condiviso da tutti i paesi europei stremati da una crisi interminabile.
Tuttavia, a riprova che gli USE non saranno una democrazia, la banca resterà completamente indipendente dalla politica. Questo è un punto centrale e fondante poiché, in sostanza, chi controllerà la Banca Centrale imporrà necessariamente, come avviene oggi, l’agenda politica. Gli ex cittadini, ormai ridotto al ruolo di sudditi, saranno tenuti ad un livello accettabile di sopravvivenza affinché non si ribellino.
Conseguentemente a questa scelta di campo, una scelta ribadiamolo collaborazionista e rilevante sul piano penale oltre che necessariamente drammatica negli effetti che avrà, si è posta la linea sulla governance economica annunciata dai Ministri Tria e Savona. Riduzione della spesa corrente, prosecuzione delle riforme (alla faccia della discontinuità con i governi precedenti), aumento dell’avanzo primario, taglio delle pensioni, completamente dell’Unione Bancaria (ovvero distruzione del risparmio), potenziamento ed impiego del MES, il meccanismo europeo di stabilità che in cambio di prestiti imporrà coattivamente le consuete riforme di lacrime e sangue, diventando così una specie di Fondo Monetario europeo.
Il taglio delle pensioni è peraltro la vera chicca dell’accordo preso da Conte al Consiglio Europeo del 29 giugno scorso in cui ha approvato le raccomandazioni specifiche fatte all’Italia per la chiusura del semestre europeo. Esse contemplano espressamente detto taglio oltre che l’inasprimento dell’austerità. Infatti per l’ultimo passo avanti verso l’integrazione europea sarà prima necessaria la presenza di una crisi visibile e conclamata.
Peraltro il Presidente Conte, intervistato da Il Fatto Quotidiano, non poteva essere più esplicito sul punto, emulando un vecchio adagio di Mario Draghi, ha tuonato: “l’euro è irreversibile”.
Ecco che il criminale metodo di governo della moneta unica, causa unica della crisi, mezzo per obbligarci a cedere la sovranità nazionale (come ha confessato anche un certo sicario della Commissione Trilaterale chiamato Mario Monti), viene cristallizzato per sempre anche nell’immaginario collettivo.
Ovvio infatti che simili dichiarazioni, fatte da un governo oggi amato dal popolo, che ovviamente non può, suo malgrado, disporre di conoscenze tecniche adeguate per comprendere immediatamente che, le politiche tanto odiate con il PD non sono affatto finite ma hanno solo cambiato il loro esecutore, fanno tornare il sovranismo indietro di almeno dieci anni.
Perché il pensiero collettivo a questo punto sarà: “se lo dicono loro che sono al nostro fianco, allora sarà vero, l’euro si può cambiare e cambiare l’euro è preferibile visto che uscirne è troppo complicato”. Ovvio che in questo contesto il ruolo di chi attacca Salvini adducendo la sua essenza sovranista/fascista è assolutamente funzionale a distruggere il sovranismo stesso. Un’operazione già vista in passato, come si è usata la sinistra per spazzare via i diritti dei lavoratori, oggi si usano i finti sovranisti per spazzare via la Repubblica. Operazione peraltro già vista anche in tempi recenti in Grecia, dove Syriza ha preso per mano il dissenso è lo ha completamente disattivato. Quando la gente capirà sarà ovviamente tardi, forse troppo tardi per evitare che si arrivi al consueto epilogo a cui porta ogni dittatura, il sangue.
Un’ultima stoccata la dedico a chi ancora, ormai in modo quasi comico, insiste nello sperare in una strategia nascosta. Chi lo pensa realmente non ha la più pallida idea di cosa significhi, all’atto pratico, lasciare l’euro.
L’exit non è questione monetaria, la moneta, ormai dovreste averlo capito, si crea dal nulla in assenza di qualsivoglia contropartita. Non è un bene finito e per imporre ai cittadini di usarla e richiederla bastano le tasse. Il problema dell’exit è dunque legato all’interdipendenza economica tra gli Stati. Fin dagli albori della nascita delle associazioni di categoria della grande finanza, quali ad esempio la Trilaterale di David Rockefeller, il punto centrale per mettere il guinzaglio alle democrazie, e a quel fastidioso impiccio che rappresenta la sovranità popolare, era trovare un metodo per mettere gli Stati con le spalle al muro, per ricattarli concretamente.
Ovvio che se il fabbisogno alimentare, energetico o sanitario, tanto per fare alcuni esempi, di un popolo dipendono da filiere produttive che non sono sul territorio soggetto al potere d’imperio di quel popolo stesso, non ci sono margini di manovra. O si fa ciò che ci chiede chi ci consente di sopravvivere, oppure ci si trova in immense difficoltà.
L’exit si può dunque fare in segreto? Il solo pensarlo è idiota. L’exit si può fare solo spiegando alla gente, per filo e per segno, la gravità del momento, l’importanza della libertà, valore per il quale è accettabile anche di pagare il prezzo del sacrificio della proprio stessa vita. La gente dovrà sapere che l’exit non sarà una passeggiata perché il piano industriale necessario ad avere la nostra autonomia non sarà pronto dall’oggi al domani. O meglio il piano deve essere pronto prima di andare al governo, ma una volta lasciata la gabbia, la sua attuazione pratica è lunga.
Se l’italexit non comportasse il crollo globale del sistema liberista, cosa auspicabile ma oggettivamente improbabile, l’Italia si troverà sola (speriamo anche in accordi bilaterali, ma non si può subordinare la libertà ad essi). Dovremmo rimboccarci le maniche per superare ogni conseguente difficoltà. Sono appunto prevedibili mesi se non forse qualche anno, di grandi difficoltà, prima di vedere i benefici immensi di questa scelta. La tecnologia però, va detto, rende più facile questa strada di quanto non lo fosse solo pochi anni fa. Oggi l’autonomia non è più un miraggio e l’Italia, prima che l’euro ci azzeri completamente, è ancora un Paese di grandi eccellenze.
Ecco quindi, tornando al tema, che solo il consenso politico, che deriva da una totale comprensione da parte del popolo della ragione più profonda per cui saranno attuate queste scelte, potrà consentire di adottare i provvedimenti necessari a tornare un Paese economicamente autarchico e dunque in cui il popolo sarà pienamente sovrano.
Tale aspetto è ben noto ai sedicenti sovranisti che, non a caso, hanno abbandonato un linguaggio euroscettico con largo anticipo rispetto alla salita al potere, in modo da mantenere la popolazione all’oscuro di quanto accade realmente.
D’altronde è più semplice far finta di essere pro italiani respingendo qualche barcone, che prendere a calci nel culo JP Morgan o Goldman Sachs… e sul punto vi dirò un segreto, il problema dei migranti è sempre un frutto avvelenato del liberismo, solo spazzando via i grandi accentramenti di ricchezza, ormai consolidatisi nelle mani di pochi, è possibile intervenire anche su questo aspetto.
Alla fine è un compromesso accettabile oppure no? Soffrire un po’ di tempo per poi essere liberi e di esempio al mondo intero è un prezzo che possiamo pagare? Voi che non ricevete, a differenza di Borghi e Bagnai, un cospicuo bonifico ogni mese per prendere per il culto gli italiani forse potere essere d’accordo con me…
Avv. Marco Mori, CasaPound Italia – autore de “Il tramonto della democrazia, analisi giuridica della genesi di una dittatura europea”, disponibile on line su ibs