Ott 07

L’IVA è un’imposta illegittima? Riflessioni di diritto costituzionale e progetto di riforma.

Chi mi segue ha potuto comprendere che mai come in questo periodo storico la nostra Costituzione e’ clamorosamente calpestata. Da più parti si rivendicano come leciti o addirittura doverosi comportamenti palesemente illegittimi e tutto ciò avviene senza che sostanzialmente si apra un vero dibattito.

In nome di un falso stato di emergenza si persegue ogni più assurda ipotesi legislativa. Tra i tanti provvedimenti insensati portati avanti dai Governi che via via sono stati imposti al paese (che non vota secondo legittimità costituzionale dal 2005) vi è stato anche l’aumento delle aliquote I.V.A., aumento che si intensificherà in futuro. Si ipotizza di un’aliquota IVA superiore al 25%.

L’I.V.A. è un’imposta che colpisce il consumatore finale, imposta che, fino a quando l’economia funzionava, non è mai stata particolarmente sgradita alla popolazione, passava apparentemente inosservata. Nessuno quindi si è mai posto seriamente il problema della legittimità della stessa. L’odierna crisi economica e la recrudescenza del peso fiscale ha invece riportato l’attenzione su ogni tipo di tassa o d’imposta che viene caricata sui cittadini.

Nello specifico l’I.V.A. desta perplessità enormi sotto il profilo Costituzionale e certamente è giunto il momento di cominciare ad aprire la mente e parlare davvero di diritto, senza riempirsi la bocca con inutili posizioni meramente ideologiche.

L’art. 53 Cost. recita: “Tutti sono tenuti a concorrere alle spese pubbliche in ragione della loro capacità contributiva. Il sistema tributario è informato a criteri di progressività”. La lettura della norma non desta particolari problemi interpretativi. Il sistema fiscale è improntato al semplice concetto che maggiore è il reddito, maggiore deve essere il contributo che si deve dare alla società in cui si vive, con conseguente incremento dell’aliquota. La capacità contributiva diventa baluardo per l’applicazione di una tassa, senza di essa un cittadino non può ovviamente essere chiamato ad alcun prelievo fiscale.

Inoltre l’intero sistema deve essere “informato a criteri di progressività”. Quando un’imposta può dirsi progressiva? Quando al crescere della capacità contributiva aumenta il peso sul cittadino. In materia fiscale questo significa semplicemente che al crescere del reddito deve aumentare anche la relativa aliquota. Come noto il sistema italiano prevede sia le imposte dirette che quelle indirette. Come dice la parola stessa, le imposte indirette colpiscono i consumi e non hanno alcun nesso con il reddito del contribuente.

Le imposte indirette sono tecnicamente regressive in quanto è manifesto che l’incidenza delle stesse su un reddito basso è maggiore di quella che si verifica su un reddito alto. Un ricco ed un povero consumano mediamente le stesse quantità di pane, acqua, pasta, vestiario ed in generale di ogni altro bene essenziale. Pertanto un povero, pur avendo un minor reddito disponibile, al netto delle imposte dirette, pagherà comunque la medesima cifra di una persona più ricca per i propri consumi essenziali.

Appare dunque naturale domandarsi se un simile modello possa essere anche solo minimamente compatibile con quello imposto dalla nostra Costituzione e la risposta non può che essere ampiamente negativa. Sul punto è sufficiente la piana lettura dei lavori dell’assemblea costituente, lavori che come noto costituiscono, di fatto, l’interpretazione autentica della nostra carta Costituzionale.

I padri costituenti erano ben consapevoli dell’utilità (o meglio talvolta necessità) delle imposte indirette e dunque ammettevano saltuarie eccezioni al criterio di progressività che non di meno vollero limitare il più possibile (appunto informando il sistema a criteri di progressività). Ma prima di leggere i passaggi chiave del dibattito uno sguardo ai freddi numeri e’ utile.

Prendendo come esempio l’anno 2013 si nota come le imposte dirette (ovvero quelle progressive ed ad aliquota proporzionale) abbiano fruttato allo Stato 232 miliardi. Nello stesso periodo quelle indirette si sono assestate, davvero incredibilmente, su valori di poco inferiori (192 miliardi) di cui 112 miliardi per la sola I.V.A. Oggi le imposte indirette costituiscono complessivamente circa il 46% delle entrate tributarie. Dato che queste imposte pesano sulla popolazione generale e sono ripartite fra 60 milioni di italiani, in media ogni cittadino ha contribuito alle casse nazionali per l’importo di € 3.000,00 e ciò, con buona pace del criterio di progressività, indipendentemente dal lavoro svolto e dalla capacità contributiva, tasse sul reddito escluse.

Può dirsi dunque che lo Stato si conformi a criteri di progressività nella propria politica fiscale? La domanda a questo punto è sostanzialmente retorica essendo già chiaro nei numeri il tradimento del modello costituzionale, tradimento motivato dalla falsa rappresentazione di un’emergenza di cassa per la nazione. Tuttavia, come noto, detta emergenza è artificialmente indotta dal fatto che lo Stato non emette moneta in misura adeguata a sostenere la propria economia, il lavoro ed a consentire un risparmio diffuso. Tutto ciò avviene in quanto è stata illegittimamente ceduta la sovranità monetaria (violando gli art. 1 ed 11 Cost., sul tema si rinvia ai numerosi articoli su questo sito). Insomma oggi lo Stato prende in prestito dai mercati finanziari ogni singolo euro non recuperato con la tassazione. Ogni scenario di crescita è dunque cancellato ex lege.

Ma torniamo al cuore del problema, esaminando appunto cosa scrivevano i padri fondatori sul nostro sistema fiscale.

Il 23 maggio 1947 durante l’esame degli emendamenti relativi al titolo IV del progetto di Costituzione si disquisì proprio in merito all’annoso tema della proporzionalità in materia fiscale. Durante tale assemblea l’On. Salvatore Scoca, noto giurista e vero promotore della progressività fiscale, poneva alla pubblica attenzione proprio il concetto appena sviluppato: “Se pensiamo, infatti, che la massima parte del gettito della imposta diretta è dato ancora oggi dalle tre imposte classiche sui terreni, sui fabbricati e sulla ricchezza mobile, che sono a base oggettiva o reale e ad aliquota costante, mentre comparativamente assai scarso è il gettito della complementare sul reddito globale, che è a base personale ed aliquota progressiva, abbiamo la riprova più convincente che lo stesso sistema delle imposte dirette si impernia sulla proporzionalità (omissis…) Se poi consideriamo che più dei tributi diretti rendono i tributi indiretti e questi attuano una progressione a rovescio, in quanto, essendo stabiliti prevalentemente sui consumi, gravano maggiormente sulle classi meno abbienti, si vede come in effetti la distribuzione del carico tributario avvenga non già in senso progressivo e neppure in misura proporzionale, ma in senso regressivo il che costituisce una grave ingiustizia sociale, che va eliminata, con una meditata e seria riforma tributaria (omissis…) La regola della progressività deve essere effettivamente operante; e perciò nella primitiva formulazione dell’articolo aggiuntivo da me proposto avevo detto che il concorso di tutti alle spese pubbliche deve avvenire in modo che l’onere tributario complessivo gravante su ciascuno risulti informato al criterio della progressività (omissis…) Da un punto di vista scientifico (se di scientifico c’è qualcosa nella materia finanziaria, o nella scienza delle finanze) si può dimostrare, come è stato dimostrato, che, pur partendo da uno stesso principio, è possibile giungere sia alla regola della proporzionalità che a quella di progressività. Resta tuttavia fermo che il sistema tributario nel complesso deve essere informato al principio di progressività. Lasciandosi guidare da un sano realismo, non si può negare che una Costituzione la quale, come la nostra, si informa a principi di democrazia e solidarietà sociale, debba dare preferenza al principio della progressività (omissis…) Ho sempre pensato che chi ha dieci mila lire di reddito e ne paga mille allo Stato, con aliquota del 10 per cento, si troverà con 9 mila lire da impiegare per i suoi bisogni privati; mentre chi ne ha centomila, dopo aver pagato l’imposta del 10 per cento in base alla stessa aliquota, si troverà con una disponibilità di 90 mila lire. E’ ovvio che per pagare l’imposta il primo contribuente supporta un sacrificio di gran lunga maggiore del secondo, e che sarebbe equo alleggerire l’aggravio del primo e rendere un po’ meno leggero quello del secondo (omissis…) Non si può negare che il cittadino, prima di essere chiamato a corrispondere una quota parte della sua ricchezza allo Stato, per la soddisfazione dei bisogni pubblici, deve soddisfare i bisogni elementari di vita suoi propri e di coloro ai quali, per obbligo morale e giuridico, deve provvedere. Da ciò discende la necessità della esclusione dei redditi minimi dalla imposizione; minimi che lo Stato ha interesse a tenere sufficientemente elevati, per consentire il miglioramento delle condizioni di vita delle classi meno abbienti, che contribuisce al miglioramento morale e fisico delle stesse ed in definitiva anche all’aumento della loro capacità produttiva”.

Sempre in sede di Assemblea Costituente l’On. Meuccio Ruini ben specificò, i paletti per il Legislatore in materia tributaria ovvero in quali casi è possibile dare corso ad un’imposizione fiscale non retta dal principio di progressività: non tutti i tributi diretti possono essere applicati con criterio di progressività. D’altra parte, se ai singoli tributi indiretti non si addice il metodo della progressività, si può e si deve tener presente complessivamente tale criterio, gravando la mano sui consumi non necessari e di lusso.

Ecco dunque l’interpretazione autentica che dimostra come l’I.V.A. sui beni di consumo indispensabili non ha alcuna legittimità.

Peraltro cosa significa improntare il sistema, nel suo complesso, al criterio di progressività lo chiarisce ancora Scoca: “L’onorevole Corbino ha detto che se dobbiamo attuare la progressività dobbiamo abolire le imposte speciali sui redditi per dirigerci verso l’imposta unica. Io direi che non è necessario far questo per applicare il principio della progressività, così come noi l’abbiamo inteso e come l’onorevole Presidente della Commissione lo ha illustrato. Basta capovolgere la situazione attuale del rapporto fra imposte reali e personali. Dicevo dianzi che oggi il nostro sistema tributario è imperniato principalmente sulle imposte dirette reali, ad aliquota proporzionale e che l’imposta complementare, che è l’unica imposta diretta di carattere progressivo, è comparativamente una ben minima cosa. Ma si può e, a mio avviso, si deve invertire questa situazione. Possiamo mantenere le imposte dirette reali (e si debbono mantenere, almeno come necessaria base di accertamento dell’imposta personale che colpisce il reddito complessivo del cittadino) purché si attui una riduzione notevolissima delle loro aliquote, e si determinino gli imponibili nella loro consistenza effettiva. Se ciò faremo, potremo potenziare l’imposta progressiva sul reddito e farla diventare la spina dorsale del nostro sistema tributario. Con l’alleggerire la pressione delle imposte proporzionali, che colpiscono separatamente le varie specie di redditi, avremo margine per colpire unitariamente e progressivamente il reddito globale. Per tal modo si potrà informare il nostro sistema fiscale al criterio della progressività senza far sparire le imposte reali e senza attuare la imposta unica, che sarebbe, almeno per ora, esperimento pericoloso”.

I dati precedentemente citati delle entrate fiscali relative al 2013 dimostrano inequivocabilmente che il principio di progressività e’ stato largamente disatteso. Il sistema tributario e’ contrario alla Costituzione e vede una costante crescita delle imposte regressive ed indirette. Non si può fare a meno di notare che le imposte indirette sono  sempre più assiduamente richieste dall’UE. Così si dimostra ampiamente il totale disprezzo per il diritto interno delle singole nazioni, diritto ben più evoluto di quello proposto dal gruppo di burocrati non eletti che guidano l’Europa secondo le richieste del potere finanziario che servono.

A questo punto chi avrà il coraggio di conservare gli scontrini di acquisto di beni necessari e chiedere il rimborso I.V.A.? Chi si farà carico di dimostrare che il sistema tributario non è affatto improntato, nel suo complesso, a criteri di progressività? Certamente anche questa battaglia sarà portata avanti in ogni sede, non ci fermeranno.

Parallelamente all’aspetto giuridico è necessario intraprendere un progetto politico di revisione delle imposte indirette nel Paese. Il passaggio obbligato è quello di eliminare l’I.V.A. sui beni indispensabili e lasciarla unicamente per quelli non necessari e di lusso. Una parziale copertura potrà trovarsi dal conseguente incremento dei consumi legato alla detassazione e la rimanente si otterrà attraverso il necessario deficit dello Stato, per il quale è però indispensabile aver prima ripristinato la nostra sovranità monetaria ed economica. Ma sono concetti già noti.

Tra i punti programmatici di Riscossa Italia c’è proprio il pieno rispetto dell’art. 53 Cost. e la completa revisione del sistema tributario nazionale, fermo il previo riscatto, ribadiamolo della nostra sovranità. Clicca qui per il programma.

———————————

Avv. Marco Mori – Riscossa Italia, autore de “Il tramonto della democrazia, analisi giuridica della genesi di una dittatura europea” disponibile on line su ibs