L’art. 278 c.p. “Offese all’onore o al prestigio del Presidente della Repubblica” dispone: “Chiunque offende l’onore o il prestigio del Presidente della Repubblica, è punito con la reclusione da uno a cinque anni”
Trattasi di un reato doloso eppertanto per la sua consumazione necessita della volontarietà della condotta criminosa. Ovvero nella volontarietà, seppur generica, di offendere il Presidente della Repubblica. Altresì richiede che ovviamente non venga esercitato un legittimo diritto di critica o che le offese mosse riguardino l’attribuzione di fatti determinati realmente commessi (exceptio veritatis). Se dicessi, ad esempio, che il Presidente della Repubblica ha rapinato una banca, ed il fatto risultasse essere stato realmente commesso, ovviamente non sarei punibile.
È cronaca di questi giorni la condanna, in primo grado, di Francesco Storace per aver definito “indegno” il Presidente della Repubblica. Storace, tuttavia, non aveva semplicemente utilizzato il termine in questione, ma aveva altresì motivato le ragioni per cui il Presidente era definito con tale termine, così esprimendo una fortissima (ma legittima) critica al suo operato. La valutazione di Storace rientrava dunque pienamente nel diritto di critica, anche aspra, che ogni cittadino può esercitare contro i membri delle istituzioni.
I reati di vilipendio sono oggettivamente di dubbia legalità posto che la libertà di espressione è un principio supremo della democrazia. Tuttavia la Corte Cost., nel pronunciarsi sulla questione, ha già avuto modo di considerare legittima la punizione della fattispecie ritenendo che anche il diritto all’onorabilità delle cariche istituzionali sia meritevole di tutela di rango costituzionale.
Ovviamente in presenza di conflitti tra diritti di rango costituzionale è però sempre necessario contemperare le opposte esigenze in gioco e dunque scendere nel merito dell’asserita offesa pronunciata.
Mai nella storia repubblicana si era stati in presenza di un Presidente così motivatamente criticabile. Chi scrive, ad esempio, ritiene Napolitano direttamente responsabile di gravi reati per aver, a più riprese, collaborato attivamente allo smantellamento della personalità giuridica dello Stato. Di tale posizione si è detto compiutamente in altri articoli ed in particolare nella denuncia penale che ho pubblicato e realmente depositato in Procura.
Orbene, se in perfetta buona fede, dichiaro, come ho più volte fatto, che Napolitano è un “traditore” della nostra Costituzione e della nostra Patria, argomentando compiutamente, non commetto alcun reato. Ovviamente sarei pronto a dimostrarlo in un processo se qualche pubblico ministero intendesse, erroneamente, incriminarmi per ciò che dico.
La fattispecie penale punisce pacificamente la volontà di offendere onore e prestigio del PdR ma deve necessariamente essere interpretata compatibilmente con il dettato Costituzionale ovvero secondo quella che in dottrina e giurisprudenza viene usualmente chiamata “interpretazione costituzionalmente orientata”. Laddove si esprime un giudizio motivato su circostanze concrete e documentate, peraltro corrispondenti a verità, non potrà trovare spazio alcun rilievo di responsabilità penale e ciò esattamente come avviene per i reati di diffamazione ed ingiuria. Diversificare le cause di non punibilità delle fattispecie di vilipendio e di diffamazione ovviamente creerebbe un’evidente violazione del principio di uguaglianza e ragionevolezza (art. 3 Cost.).
Inoltre, data la natura dolosa del reato in esame, se le circostanze da me elencate dovessero essere confermate, non tanto in fatto (sono palesi sul punto), ma nelle conseguenze giuridiche che da tale fatto scaturiscono, sarebbe Napolitano, come doveroso, a dover finire sotto processo. Non si potrebbe parlare di offesa ad onore e prestigio del PdR poiché lo stesso non sarebbe leso dall’attribuzione di fatti reali determinati, fatti per i quali vale dunque sia il diritto di cronaca (riconoscibile a qualunque cittadino) che quello di critica, nonché l’exceptio veritatis.
Pertanto l’onore ed il prestigio del PdR non possono essere lesi definendo lo stesso un “traditore” di Patria e Costituzione allorquando si è realmente in presenza di circostanze che possono ampiamente ricomprendersi proprio nella fattispecie di alto tradimento come rivendica lo scrivente. La stessa costituzione usa il termine “tradimento”, ergo tale termine può essere conseguentemente utilizzato dato il suo significato giuridico. L’incriminazione del PdR è dunque un diritto costituzionalmente tutelato al pari della tutela stessa del suo onore e del suo prestigio.
Onore e prestigio non sono sussistenti in chi tradisce il dettato costituzionale, indi è lecito affermare che di fronte ad un Presidente della Repubblica che chiede specificatamente e reiteramente di cedere sovranità nazionale esiste un pieno e totale diritto di segnalare la macroscopica violazione da parte di qualsivoglia cittadino in tutte le sedi, anche in quelle meramente informative.
Ad avviso di chi scrive è Napolitano stesso, con la sua assurda richiesta di smantellare la nazione e di asservirla ad interessi stranieri, a ledere costantemente l’onore ed il prestigio della nostra Repubblica che malauguratamente rappresenta.
Napolitano dunque è, e resta, il peggior presidente della storia repubblicana (sacrosanta espressione del legittimo diritto di critica dell’esponente). Mai si è visto nella storia un PdR chiedere intenzionalmente di cedere la sovranità nazionale a terzi, infischiandosene del fatto che, ex art. 1 Cost., detta sovranità non gli appartiene affatto, ma appartene al popolo.
Inoltre si rammenta che tra i doveri costituzionalmente tutelati di ogni cittadino rientra anche quello di difendere la patria: “La difesa della Patria è sacro dovere del cittadino” (art. 52 Cost.)
Dunque, nanti a richieste palesemente ostili alla Patria, come quella di cedere la sovranità nazionale, sarebbe grave omettere di attivarsi pubblicamente come la Costituzione impone. Dunque ciò che io con orgoglio, e senza timore delle conseguenze sostengo, risulta il mero rispetto di un dovere di rango costituzionale. Ho piena fiducia nella Magistratura quale unico potere dello Stato che può ancora salvare il paese dalla catastrofe.
La giurisprudenza peraltro conforta ampiamente la visione dello scrivente: “La previsione di reato di cui all’art. 278 c.p. (offesa all’onore o al prestigio del Presidente della Repubblica) manifestamente non si pone in contrasto con gli artt. 3, 21, 24, 25, comma secondo, e 111 della Costituzione e può essere integrata da affermazioni che, esulando dai limiti del legittimo diritto di critica, abbiano (valutate nell’ambito dell’intero contesto in cui sono contenute) carattere insultante, ingiurioso e ridicolizzante”. Cass. Pen. n. 12625/2004.
Fermiamo il golpe e facciamo in modo che la propaganda non ci freni nel pieno diritto di rivendicare la verità. Andiamo avanti!