I trattati europei costituiscono illecite cessioni della sovranità nazionale, lo spiego da anni insieme a tanti altri giuristi rispettosi della nostra Costituzione.
Ma non mi sono limitato solo alle parole. Le cause per fare accertare l’incostituzionalità delle leggi di ratifica dei trattati europei non solo sono in corso, ma siamo ormai giunti all’atto finale del secondo grado di giudizio. L’obiettivo è quello di arrivare in Corte Costituzionale e far dichiarare l’ovvio: le cessioni di sovranità sono un illecito, addirittura dal punto di vista penale.
Sono ben accetti piccoli aiuti economici per il sostegno della vertenza, che risulta assai costosa, contattatemi in privato con una mail all’indirizzo mrc.mori@libero.it
Ed ecco il testo della memoria conclusiva, la sentenza di secondo grado arriverà nei prossimi mesi:
CORTE D’APPELLO DI GENOVA
COMPARSA CONCLUSIONALE
Nell’interesse di
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-appellante-
Avv. Marco Mori
CONTRO
PRESIDENZA DEL CONSIGLIO DEI MINISTRI, MINISTERO DELL’INTERNO, MINISTERO DEGLI AFFARI ESTERI E DELLA COOPERAZIONE INTERNAZIONALE
-appellata-
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Richiamate le difese svolte e contestato quanto ex adverso dedotto si sottopongono a Giustizia le seguenti osservazioni conclusive.
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1) In merito al primo motivo d’appello.
Il presente giudizio è stato in incardinato per una ragione molto semplice.
Con le ben note sentenze sul diritto di voto la Corte Costituzionale (sentenza n. 1/2014) e la Corte di Cassazione (sentenza n. 8878/14) hanno introdotto una rilevante novità nel panorama giurisprudenziale italiano: in tali giudizi si è stabilito che l’interesse ad agire di un attore sussiste anche in funzione della mera lesione di un diritto costituzionale ed al fine specifico di rimuovere suddetta lesione.
L’interesse all’azione è stato considerato esistente quindi nel solo accertamento di illegittimità costituzionali di specifiche norme, nel caso in allora trattato quelle inerenti alla legge elettorale.
Viene da se che la sovranità è un diritto che si pone a monte del suo esercizio concreto attraverso il voto. Se manca sovranità diventa inutile votare, poiché anche votando non si può incidere nelle materie oggetto di avvenuta cessione.
L’illegittimità di cui si dibatte sul piano sostanziale in questo giudizio è quella conseguente al fatto che la Repubblica Italiana ha ceduto la sovranità in materie essenziali, quelle dell’art. 3 TFUE, per la sua stessa esistenza e sulle quali il Parlamento italiano non ha più alcuna voce in capitolo.
Tra le più importanti, per le conseguenze che hanno sulle nostre vite, cessioni di sovranità compiute ci sono quelle che riguardano le politiche monetarie e le politiche economiche. Senza di esse diviene impossibile addirittura fare un piano industriale, in forza del noto brocardo, falso per uno Stato titolare del suo potere d’imperio, del “non ci sono i soldi”.
In tempi di emergenza Covid poi è divenuto macroscopico l’effetto dell’assenza della sovranità monetaria ed economica nel nostro Paese. L’assenza di soldi ha impedito ogni intervento sulla sanità, ha impedito di utilizzare tutti gli uomini e mezzi, che pur erano disponibili, al servizio della salute pubblica.
L’appartenenza al popolo della sovranità, diritto plurisoggettivo e come tale tutelabile da qualsiasi cittadino, è stata radicalmente compromessa dai trattati internazionali di cui si dibatte in questo giudizio.
Dal punto di vista del primo motivo d’appello ciò che rileva è che la domanda di questa difesa doveva dunque essere valutata anche a prescindere dalla consequenziale richiesta di risarcimento del danno non patrimoniale relativo alle cessioni della nostra sovranità.
Il giudice di prime cure ha altresì citato in modo completamente parziale la giurisprudenza costituzionale a sostegno delle limitazioni di sovranità, dimenticandosi di riportare le più recenti ed importante sentenze nelle quali ha trovato piena elaborazione il concetto dei cd. controlimiti all’ingresso del diritto internazionale nel nostro ordinamento.
Manca in particolare l’analisi della sentenza n. 238/14 della Corte Cost. che, a differenza di quanto apoditticamente sostenuto dal Giudice di primo grado circa la supremazia del diritto dell’Unione su quello interno, ha elegantemente affermato: “non v’è dubbio, infatti, ed è stato confermato a più riprese da questa Corte, che i principi fondamentali dell’ordinamento costituzionale e i diritti inalienabili della persona costituiscano un «limite all’ingresso[…] delle norme internazionali generalmente riconosciute alle quali l’ordinamento giuridico italiano si conforma secondo l’art. 10, primo comma della Costituzione”(sentenze n. 48 del 1979 e n. 73 del 2001) ED OPERINO QUALI “CONTROLIMITI” ALL’INGRESSO DELLE NORME DELL’UNIONE EUROPEA (ex plurimis: sentenze n. 183 del 1973, n.170 del 1984, n. 232 del 1989, n. 168 del 1991, n. 284 del 2007), oltre che come limiti all’ingresso delle norme di esecuzione dei Patti Lateranensi e del Concordato (sentenze n. 18 del 1982, n. 32, n. 31 e n. 30 del 1971). Essi rappresentano, in altri termini, gli elementi identificativi ed irrinunciabili dell’ordinamento costituzionale, per ciò stesso sottratti anche alla revisione costituzionale (artt. 138 e 139 Cost.: così nella sentenza n. 1146 del 1988)”.
Ed ancora: “Anche in una prospettiva di realizzazione dell’obiettivo del mantenimento di buoni rapporti internazionali, ispirati ai principi di pace e giustizia, in vista dei quali l’Italia consente a limitazioni di sovranità (art. 11 Cost.), IL LIMITE CHE SEGNA L’APERTURA DELL’ORDINAMENTO ITALIANO ALL’ORDINAMENTO INTERNAZIONALE E SOVRANAZIONALE (ARTT. 10 ED 11 COST.) È COSTITUITO, COME QUESTA CORTE HA RIPETUTAMENTE AFFERMATO (con riguardo all’art. 11 Cost.: sentenze n. 284 del 2007, n. 168 del 1991, n. 232 del 1989, n. 170 del 1984, n. 183 del 1973; con riguardo all’art. 10, primo comma, Cost.: sentenze n. 73 del 2001, n. 15 del 1996 e n. 48 del 1979; anche sentenza n. 349 del 2007), DAL RISPETTO DEI PRINCIPI FONDAMENTALI E DEI DIRITTI INVIOLABILI DELL’UOMO, ELEMENTI IDENTIFICATIVI DELL’ORDINAMENTO COSTITUZIONALE”.
Tra i diritti fondamentali, posto “fondamentalissimo”, è riservato proprio all’appartenenza popolare della sovranità e dunque all’assegnazione al popolo italiano della sovranità incondizionata ed incondizionabile sul proprio territorio, esattamente come indicato nella relazione preparatoria al progetto di Costituzione di Meuccio Ruini: “Stato indipendente e libero, l’Italia non consente, in linea di principio, altre limitazioni alla sua sovranità, ma si dichiara pronta, in condizioni di reciprocità e di uguaglianza, a quelle necessarie per organizzare la solidarietà e la giusta pace tra i popoli”.
La superiorità della Costituzione sui Trattati UE è acclarata dalla Corte Costituzionale con la precisazione che tale superiorità debba intendersi in riferimento sia ai principi fondamentali, ovvero gli articoli da 1 a 12 della Carta, dunque ivi compreso il divieto alle cessioni di sovranità, che in merito ai diritti inviolabili dell’uomo, ovvero i diritti e doveri dei cittadini (artt. 13-28 la sentenza in parola infatti ha dichiarato illegittima un norma internazionale per violazione dell’art. 24 Cost.), i rapporti etico-sociali (artt. 29-34) ed i rapporti economici, dunque tutte quelle norme che rendono effettiva la fondazione della Repubblica sul lavoro (art. 35-54).
Ergo ha perfettamente senso domandarsi se le cessioni compiute con i trattati oggetto del contendere, cessioni che ci hanno spogliato di sovranità indispensabili alla stessa esistenza dello Stato, siano o meno legittime, e ciò comprende anche la valutazione di compatibilità costituzionale della Legge Cost. 1/2012.
Ribadiamo ancora che uno Stato esiste dal punto di vista giuridico se esso ha tutti e tre i suoi elementi fondanti. Deve esistere un popolo, un territorio e in una democrazia il potere d’imperio del popolo sul suo territorio (appunto la sovranità).
Giuridicamente parlando dunque a seguito della ratifica dei trattati internazionali oggetto del contendere l’Italia non può più essere definita uno Stato.
A nulla vale neppure il richiamo fatto dal Tribunale all’art. 117 Cost. che ovviamente, con il ben noto riferimento al diritto comunitario, non ha modificato alcunché circa la vigenza dei principi fondamentali e le dinamiche del combinato disposto degli artt. 1, 10 ed 11 Cost., parimenti nulla a mutato circa la definitività della forma Repubblicana dell’Italia disposta dall’art. 139 Cost.
La sentenza della Corte Cost. n. 238/14 è infatti già successiva alla riforma del titolo V della Cost. del 2001 e dunque non vi è alcun dubbio che i principi fondamentali sono e restano il naturale limite dell’ordinamento dell’Unione Europea.
Inoltre, ed è dirimente, ogni riforma Costituzionale deve comunque essere rispettosa dei principi fondamentali della Carta e qualora risulti con essi confliggente va senza remore dichiarata a sua volta incostituzionale. Ragionamento che questa difesa opera, come detto, per la Legge Cost. n. 1/2012, diretta emanazione del trattato cd. fiscal compact, costituente una cessione di sovranità economica come già specificato in atti.
Dunque suona completamente errato l’assunto del Giudicante circa il fatto che sarebbe stata questa difesa a non considerare il sistema costituzionale nel suo complesso, ma casomai è stato il Tribunale a darne un’interpretazione assolutamente parziale e largamente incompleta.
Nel merito la prova dell’avvenuta cessione della sovranità nazionale è di icastica evidenza e non può essere contestata quale dato di fatto.
La semplice lettura dell’art. 3 TFUE è sufficiente ad evidenziare come la sovranità del popolo italiano non esista più laddove l’Unione ha competenza esclusiva in specifiche materie. Non solo il precedente art. 2 TFUE afferma altresì: “Quando i trattati attribuiscono all’Unione una competenza esclusiva in un determinato settore, solo l’Unione può legiferare ed adottare atti giuridicamente vincolanti. Gli Stati membri possono farlo autonomamente solo se autorizzati dall’Unione o per dare attuazione agli atti dell’Unione”.
L’UE ha in particolare competenza esclusiva, ai sensi delle norme citate nelle politiche monetarie, nelle regole di concorrenza, nella politica commerciale comune, nella conclusione di accordi internazionali, ecc.
Senza ripetere integralmente le ragioni di merito già esposte in primo grado e nell’atto d’appello e che ivi vanno richiamate integralmente poiché non esaminate, le politiche monetarie sono demandate in particolare ad una Banca Centrale indipendente dalla politica, che ex art. 130 TFUE, neppure può prendere consigli dai rappresentanti del popolo, né a livello di Parlamenti nazionali, né a livello del Parlamento Europeo.
Sovranità dunque che è stata strappata a qualsivoglia regola democratica violando certamente il combinato disposto degli artt. 1, 11 Cost. e 139 Cost., ma anche il dettato dell’art. 47 Cost. che afferma l’obbligo per la Repubblica di disciplinare, coordinare e controllare il credito.
Non serve un fine giurista per capire che l’art. 130 TFUE dispone l’esatto contrario di quanto prevede la Costituzione.
La Repubblica oggi è controllata dalla banca centrale europea e non già il contrario come imporrebbe la Costituzione.
E ricordiamoci che questo è per definizione “il tema dei temi”, visto che la crisi economica in cui viviamo e la stessa incapacità a cui oggi assistiamo di rispondere all’emergenza Covid dipende esclusivamente dalla perdita di sovranità degli Stati nazionali e dalla sua dispersione nei rapporti di forza economici. Le conseguenze pregiudizievoli della perdita di sovranità vengono poi utilizzate come leva per ricattare le nazioni ed imporre cessioni ulteriori che in condizioni di normalità non avrebbero mai il consenso politico per essere attuate.
Ergo questa difesa auspica che l’Ill.ma Corte d’Appello possa finalmente trasmettere gli atti alla Consulta e una volta per tutte si arrivi a decidere se le cessioni di sovranità siano o meno incostituzionali, come questa difesa, e una fetta sempre più ampia della dottrina, afferma con assoluta risolutezza, che deriva da una certezza matematica di avere ragione e dalla passione con cui vogliamo difendere questo Paese dalle barbarie dei mercati finanziari, gli eserciti di occupazione dei nostri tempi.
Anzi vi è di più come già affermato le cessioni di sovranità costituiscono addirittura un delitto contro la personalità giuridica dello Stato (anche a seguito della riforma dell’art. 241 c.p. risulterebbe applicabile pienamente alla fattispecie il disposto dell’art. 243 c.p. che punisce penalmente gli atti d’intelligenza, ovvero gli accordi anche palesi, finalizzati a commettere atti ostili tra cui rientra pienamente la compressione della personalità giuridica dello Stato). Una volta erano le truppe di invasione a togliere al popolo il potere d’imperio sul suo territorio, oggi tutto questo è stato fatto con carta e penna.
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2) In merito al secondo motivo d’appello.
Con il secondo motivo d’appello si è richiesta la riforma della sentenza laddove ha ritenuto che il diritto di sovranità che si esercita per tramite l’esercizio del diritto di voto non sarebbe un diritto inviolabile della persona.
Come già detto nell’atto d’appello non è esagerato sostenere che il riportato passaggio motivazionale – per le conseguenze che ne derivano – rappresenti un tipico esempio di “precomprensione”, ovvero di anticipazione pregiudiziale del senso delle norme, “…discendendo da un condizionamento politico, psicologico, sociale – inteso come riflesso degli assetti dominanti sulle “ragioni del comprendere del singolo interprete”; come tale, la precomprensione dissimula “operazioni apparentemente logiche ma viziate, più o meno inconsciamente, da pregiudizi e presupposti che, pur personali, sono spesso il recepimento acritico di un “comune sentire” proprio delle forze sociali dominanti; essa perciò può condurre a interpretazioni che “vulnerano” la giustizia, l’equità … la verità dinamica la cui ricerca dà senso al diritto”.
La Costituzione italiana, com’è noto (o come dovrebbe esserlo), nel sancire che l’Italia è una Repubblica “democratica” fondata sul lavoro”, attribuisce il massimo rilievo al principio della sovranità popolare (art. 1).
All’accoglimento del principio della sovranità popolare – nell’ambito di un sistema di democrazia rappresentativa come quella italiana – non poteva che accompagnarsi come corollario naturale l’elettorato attivo, come diritto spettante a ciascun cittadino quale titolare di una “particella di sovranità” (secondo la nota formulazione rousseauiana) di concorrere alla vita repubblicana. Il collegamento diretto e necessario tra sovranità popolare e diritto di voto (come modo imprescindibile di esercizio della prima) emerge in modo inconfutabile dai lavori della Costituente.
Già la Relazione al Progetto di Costituzione presentata alla Presidenza dell’Assemblea il 6 febbraio 1947, nell’avvertire che “Non si comprende una costituzione democratica, se non si richiama alla fonte della sovranità, che risiede nel popolo: tutti i poteri emanano dal popolo e sono esercitati nelle forme e nei limiti della costituzione e delle leggi”, riportava quanto segue “Deve bensì rimanere fermissimo il principio della sovranità popolare. Cadute le combinazioni ottocentesche con la sovranità regia, la sovranità spetta tutta al popolo” con l’importante precisazione che “…La sovranità del popolo si esplica, mediante il voto, nell’elezione del Parlamento e nel referendum…”.
Nelle varie sedute della Seconda Sottocommissione che avrebbero portato alla scrittura dell’attuale art. 48 Cost., il tema dello stretto legame tra diritto di voto e sovranità viene affrontato a più riprese dai Costituenti.
Nella seduta del 12 settembre 1946, l’on. Conti, quale Presidente vicario, comunicava che “…dai contatti presi con la prima Sottocommissione per conoscere come questa abbia trattato la questione dell’elettorato attivo e del suffragio popolare, è risultato che essa non ha ancora preso in merito alcuna decisione. In una relazione dell’onorevole Basso sui principî dei diritti politici si propone, tra l’altro, l’approvazione di un articolo 1 del seguente tenore:
“La sovranità popolare si esercita attraverso la elezione degli organi costituzionali dello Stato, mediante suffragio universale, libero, segreto, personale ed eguale. Tutti i cittadini concorrono all’esercizio di questo diritto tranne coloro che ne sono legalmente privati o che volontariamente non esercitino un’attività produttiva”.
Preoccupazione esternata ancor prima dall’on. Lussu il quale, nella seduta del 10 settembre 1946, faceva presente che “allorché si tratterà di compilare il testo definitivo… la Costituzione dovrebbe contenere anzitutto un accenno alla sovranità popolare”.
Nella seduta del 19 maggio 1947, l’on. Caristia affermava a sua volta “Democrazia e repubblica sono i pilastri della nuova Costituzione, e la democrazia, nel suo aspetto politico, ch’è quello sostanziale, si attua attraverso il godimento e l’esercizio del diritto elettorale attivo…”.
Nella seduta del 20 maggio 1947 l’on. Piemonte aveva altresì modo di ribadire che “l’espressione del voto politico è un atto di sovranità”, mentre nella seduta del giorno successivo l’on. Canepa spiegava chiaramente che il cittadino partecipa alla sovranità “coll’esercizio del voto”.
La ragione per cui nella redazione dell’attuale art. 48 Cost. non si fece poi accenno alla sovranità è ricavabile dalle parole dell’on. Tosato il quale, concordando con il presidente Terracini, affermava che “… quando si dice che sono eleggibili e sono elettori tutti i cittadini, ecc., è implicito in ciò il principio della sovranità popolare…”.
Se le parole dei Costituenti hanno ancora un minimo di senso compiuto, nonostante i cupi tempi in cui viviamo, dalle stesse si ricava che l’elettorato attivo costituisce il diritto di ogni cittadino di concorrere col voto alla formazione della volontà nazionale, il diritto di esercitare attraverso il voto la propria parte di sovranità.
Tale diritto previsto dall’art. 48 Cost. è perciò annoverato dalla dottrina nella categoria dei “diritti soggettivi pubblici” e, più specificamente, costituisce uno ius activae civitatis che vede, cioè, il cittadino titolare di una pretesa a partecipare alle elezioni degli organi rappresentativi dello Stato nonché a votare nei vari referendum, una posizione giuridica soggettiva garantita nei confronti dello stesso legislatore.
Non può parlarsi, in definitiva, di “sovranità” democratica senza il diritto soggettivo assicurato ad ogni cittadino di poterla esercitare in concreto.
E la sovranità si esercita in concreto, almeno in fase iniziale, mediante il voto.
Ripristinare il diritto di voto, in assenza di una sovranità popolare ormai svuotata di ogni contenuto, perché la sovranità è stata previamente ceduta ad organismi sovranazionali (o dispersa nei rapporti di forza economici), è stato completamente inutile.
L’articolo 1, in tal senso, assurge per Mortati a “supernorma” poiché i suoi “principi generalissimi” imprimono un “preciso contenuto” normativo…potenziato” e perché fornisce “il supremo criterio interpretativo di tutte le altre disposizioni”; ciò in quanto la titolarità del potere supremo della sovranità democratica “…si pone come logico fondamento dell’ordine…”.
Non esiste quindi nell’ordinamento, contrariamente a quanto affermato dal Giudice di promo grado diritto più supremo ed inviolabile di questo.
Per essere ancora più chiari: la Costituzione attribuisce al popolo soprattutto l’esercizio della sovranità e l’esercizio della sovranità “praticamente è tutto”; in assenza di concreto esercizio, la sua titolarità è “nulla”.
Stessi principi sono stati peraltro ribaditi dalla stessa Consulta la quale, sul punto, non poteva che affermare come “…la volontà dei cittadini espressa attraverso il voto … costituisce il principale strumento di manifestazione della sovranità popolare, secondo l’art. 1, secondo comma, Cost.”.
Bisogna però precisare, come accennato, che l’esercizio della sovranità mediante l’elettorato attivo va ben oltre al “solo potere di votare”, dal momento che le modalità del voto tutelano l’esercizio continuo della sovranità dello Stato democratico,
“… nel quale la democrazia ha un carattere di massa e permanente, nel senso che non si esaurisce nel semplice atto elettorale: il suo esercizio del potere, infatti, non è puramente fittizio, limitato alla scelta delle persone che eserciteranno il potere per conto del popolo e, in ultima analisi, sul popolo, ma è un esercizio del potere continuo…”.
Lo stesso Gramsci in tal senso aveva già avuto modo di spiegare bene come “… il consenso non ha nel momento del voto una fase terminale, tutt’altro. Il consenso è supposto permanentemente attivo … chi consente si impegna a fare qualcosa di più del comune cittadino legale, per realizzarli [programmi di lavori], a essere cioè una avanguardia di lavoro attivo e responsabile. L’elemento «volontariato» nell’iniziativa non potrebbe essere stimolato in altro modo per le più larghe moltitudini, e quando queste non siano formate di cittadini amorfi, ma di elementi produttivi qualificati, si può intendere l’importanza che la manifestazione del voto può avere…”.
Considerata la sovranità democratica in senso dispiegatamente dinamico “innescata” mediante il momento iniziale e fondamentale del voto, essa è così in grado di conformare i comportamenti dei cittadini (sovrani) i quali – in quanto popolo “sempre nell’esercizio delle proprie funzioni” – sono in grado di determinare in concreto la politica nazionale (art. 49 Cost.), partecipare alla vita del paese (art. 3 Cost.), concorrere al progresso materiale e morale di quest’ultimo (art. 4 Cost.), amministrare la giustizia (art. 101 Cost.), insomma realizzare nella sostanza – attraverso i plessi Parlamento e Governo (la “Repubblica”) diretta emanazione del popolo sovrano – quella democrazia “necessitata” del lavoro, pluriclasse e redistributiva costituente il programma ultimo ed irrinunciabile che innerva tutto l’impianto della nostra Carta Costituzionale.
Si può conseguentemente ribadire che impedire o limitare in modo certo e diretto l’art. 1 Cost. (appunto supremo principio di sovranità popolare) significa altresì vulnerare a cascata tutti gli altri principi contenuti nei successivi undici articoli della Costituzione (c.d. principi fondamentalissimi). Appunto la citata emergenza covid è un esempio eclatante di quanto si scrive.
Infatti, se la sovranità “è praticamente tutto” e se la stessa “si pone come logico fondamento dell’ordine”, violare il fondamento decreta logicamente lo sconvolgimento, o meglio, la dissoluzione dell’ordine stesso (sub specie azzeramento della sovranità). Il senso della frase “la sovranità è tutto” ci dice più semplicemente che la stessa costituisce l’alfa e l’omega della democrazia costituzionale.
Leggere quindi che il diritto plurisoggettivo di sovranità non è da considerarsi fondamentale in una sentenza è davvero qualcosa di oggettivamente inconcebile.
Se è chiaro quanto detto, appare a dir poco cavilloso e formalistico affermare – basandosi semplicemente “sulla lettera” dell’art. 2 Cost., come ha fatto il Tribunale di Genova – che la lesione del diritto di sovranità di cui all’art. 1 Cost. non possa essere ricompreso tra i diritti inviolabili (rectius, fondamentali).
Una statuizione di tal fatta denuncia in modo allarmante la mancanza di una visione sistematica ed organica dell’ordito costituzionale così come concepito dai Costituenti.
Ed invero, bisogna ribadire con forza che se l’art. 48 Cost. costituisce una “proiezione” del principio fondamentalissimo di “sovranità popolare” contenuto nell’art. 1 (e che sia così non dovrebbe a questo punto esservi dubbio), la sua violazione comporta in re ipsa non solo la violazione dell’art. 2 Cost., ma anche di tutti gli altri articoli e principi fondamentali a seguire.
Quanto poc’anzi esposto è stato illustrato dalla giurisprudenza della Corte costituzionale, allorché la stessa ha affrontato, con la sentenza n. 120/1967, il problema del riconoscimento del diritto di voto agli stranieri residenti. Secondo la Corte, se gli artt. 2 e 3 Cost. si applicano indipendentemente dallo status di cittadino (“…l’art. 2 riconosce a tutti, cittadini e stranieri, i diritti in violabili dell’uomo”) e se innegabile che “l’art. 3 si riferisce espressamente ai soli cittadini, è anche certo che il principio di eguaglianza vale pure per lo straniero quando si tratti di rispettare quei diritti fondamentali”.
Tuttavia, non tutti i diritti riconosciuti dalla Costituzione sono da ritenere in modo indistinto attribuiti a cittadini e stranieri: i “diritti inviolabili della persona” ai quali si riferisce la sent. n. 120/1967 costituiscono, infatti, secondo la Corte (cfr. sent. n. 104/1969), “un minus rispetto ai diritti di libertà riconosciuti al cittadino”.
Ed infatti, “…la riconosciuta uguaglianza di situazioni soggettive nel campo della titolarità di diritti di libertà non esclude affatto che, nelle situazioni concrete, non possano presentarsi, fra soggetti uguali, differenze di fatto che il legislatore può apprezzare e regolare nella sua discrezionalità, la quale non trova altro limite se non la razionalità del suo apprezzamento”, con particolare riferimento alla “basilare differenza esistente tra il cittadino e lo straniero, consistente nella circostanze che mentre il primo ha con lo Stato un rapporto di solito originario e comunque permanente, il secondo ne ha uno acquisito e generalmente temporaneo” (così Corte Cost. sent. n. 104/1969).
Tradotto in termini più semplici: il diritto di voto, seppur fondamentale ed inviolabile, non può essere riconosciuto erga omnes, ma solo ai cittadini. Verrebbe da aggiungere, ed è questo ciò che interessa in questa sede, “perché solo ai cittadini appartiene la sovranità”.
In definitiva, e di contro a quanto erroneamente sostenuto dal Tribunale di Genova, “l’attribuzione della qualifica dell’inviolabilità ai diritti politici” (nel caso, il diritto di sovranità ex art. 1 che si esercita ex art. 48 Cost.), lungi dall’essere “controversa”,
non potrebbe essere invece più pacifica.
Ciò che suscita fortissime perplessità, non è solo la circostanza per cui il giudice di merito – mediante una interpretazione del tutto fuorviante – abbia negato al diritto di sovranità la qualifica di “inviolabilità”, ma ancor prima il fatto che non si sia nemmeno sforzato di recuperarne, a monte, quantomeno la valenza stessa di diritto soggettivo.
Indiscutibile quindi che le leggi di ratifica dei trattati oggetto del contendere con cui sono state ratificate illecite cessioni di sovranità debbano essere sottoposte all’attenzione della Corte Costituzionale.
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3) In merito al terzo motivo d’appello.
In merito alla liquidazione delle spese di lite, in misura superiore ai limiti di legge, di primo grado si reiterano le osservazioni già svolte nell’atto d’appello a cui si rimanda.
Con osservanza.
Rapallo, 11 dicembre 2020
Avv. Marco Mori
[…] La Corte invocando l’art. 11 Cost. ha deciso per la legittimità della ratifica dei trattati europei da parte dell’Italia, finendo con il considerare sinonimi i termini di cessione e limitazione e omettendo di prendere posizione radicalmente sulla dottrina dei cd. controlimiti all’ingresso del diritto internazionale nel nostro ordinamento. La sentenza, in ogni caso davvero interessante, merita una lettura, troverete in grassetto le parti più importanti. Per le mie tesi difensive vi rimando al link in cui ho pubblicato la memoria conclusiva: http://www.studiolegalemarcomori.it/riscattiamo-la-nostra-sovranita-la-memoria-conclusiva-nella-caus… […]
Dott. Mori, nel rinnovarle la mia stima, sono a ringraziarla come CITTADINO per quanto da lei svolto ed è mia intenzione di appoggiarla moralmente, e, per quanto nelle mie possibilità, economicamente.
Cordialmente
Esimio Collega, Vorrei essere informato dello stato del giudizio, per quando è stata fissata l’udienza per P.C. e N. sentenza di primo grado.
Mi interesso di signoraggio da anni e mi sento solo ed impotente di fronte alla avvenuta conquista della mia patria avvenuta in maniera progressiva, surrettizia e silente.
Sto aspettando la sentenza d’appello, mando proprio oggi le note di replica. A breve metterò un post.
Concordo con quanto scritto sopra.
CON RICONOSCENZA PER LA SUA DEDIZIONE ALLA CAUSA DELLA DIFESA DI DIRITTI VOLATI, AUGURIA, A PRESTO
Grande Avvocato Mori
Grazie Avv. Mori, lei è l’unico avvocato che difende, con i fatti, la nostra Costituzione. Grazie di cuore.
Il tema è evidentemente ampio e complesso! Non conoscendo gli atti di base la sentenza di 1 grado e l’appello, si può comunque apprezzare la conclusionale come atto ben motivato e convincente! Sarebbe veramente un atto di “coraggio” e di vera autonomia ed indipendenza se la Corte di appello rimettesse gli atti alla Consulta perché, ex professo, si pronunciasse sulla delicata e controversa questione!