Napolitano, ormai al capolinea della sua avventura alla Presidenza della Repubblica, avventura che il Paese ha pagato e pagherà a carissimo prezzo, ci ha illuminato con una nuova serie di inaccettabili dichiarazioni rese nel Salone dei Corazzieri alle alte cariche dello Stato: “Voci di scissioni e voto anticipato fanno perdere tempo al paese” ed ancora “Chi dissente dalle riforme non deve farlo con spregiudicate tattiche emendative”.
Napolitano ha poi rilasciato ulteriori commenti, davvero indegni per un Presidente della Repubblica (Storace per l’uso di questo termine è stato processato e spero francamente di seguirne le orme), ovvero “Gli auguri che quest’anno ci scambiamo si intrecciano strettamente con gli impegni che tutti condividiamo per il superamento degli aspetti più critici per la situazione economica e sociale (omissis…) dobbiamo procedere con coerenza e senza battute d’arresto sulla via delle riforme (ovviamente quelle gradite a Re Giorgio – n.d.s.)“ ed ancora, sulla riforma del lavoro del Governo Renzi, ha definito “improvvidi” i contrasti sull’articolo 18 invitando i Sindacati a rispettare le prerogative del Governo. Attenzione “del Governo”, ergo Napolitano finge di dimenticare che l’Italia è una Repubblica Parlamentare.
Il PdR pertanto, tradendo la Costituzione, ha assunto una chiarissima posizione politica al fianco delle imposizioni economiche dell’UE sposate, in toto, unicamente dal Partito Democratico. Napolitano non è un Presidente super partes.
Ricordiamo ancora una volta quali sarebbero i compiti del PdR affinché siano conosciuti dai cittadini. L’art. 87 Cost. è molto chiaro sul punto: “Il Presidente della Repubblica è il capo dello Stato e rappresenta l’unità nazionale”. Ergo non può sposare le posizioni politiche di un partito, sia esso di maggioranza o di minoranza.
Non è dunque compito del Presidente quello di erigersi a paladino di riforme che, anche qualora da esso condivise, non sarebbe suo compito valutare se non sotto l’esclusivo profilo della loro legittimità costituzionale. Spetta unicamente al Parlamento, e non già al Governo (salvo ovviamente l’attività delegata e quella d’urgenza), ogni valutazione di merito sulla politica da attuare. Ancora meno legittimo è poi che il Presidente indichi la posizione di un partito politico come l’unica in grado di salvare il Paese, arrivando addirittura a delegittimare chi, all’interno del partito stesso (nel caso specifico il PD), non aderisca alla linea ufficiale.
Lo strappo raggiunto con Napolitano non ha alcun precedente istituzionale, posto che ormai è palesemente una figura politica di totale e pieno supporto del Partito Democratico, o meglio alla parte del partito che non critica l’ideologia ultra liberista. Un fatto mai avvenuto nella storia della Repubblica. Napolitano, facendosi scudo con la sua carica, esercita una costante censura verso coloro che dissentono, delegittimandoli.
Re Giorgio, in nome di tale credo ideologico, calpesta la Costituzione consentendo, anzi avvallando, sia l’abuso dello strumento della decretazione d’urgenza, che la costante approvazione di leggi palesemente contrarie alla nostra Costituzione. D’altronde la circostanza stupisce ben poco laddove si tiene a mente che, questo Presidente, non ha neppure sciolto le Camere nonostante la sentenza della Corte Costituzionale n. 1/2014 abbia sancito l’illegittimità della loro composizione. Ad oggi, se il voto si fosse svolto secondo legalità, la maggioranza che il PdR appoggia con la passione tipica di un tifoso da stadio, neppure esisterebbe.
Ultima, ma non meno importante osservazione, è quella inerente all’assurda ingerenza del Presidente della Repubblica nella riforma del lavoro esercitata anche con le dichiarazioni già citate. Ivi Napolitano riesce nell’impresa di insultare chi la pensa diversamente bollando come “improvvidi” i contrasti sull’art. 18 di cui sposa il superamento, in totale contrasto con lo stesso art. 1 della Costituzione. Insomma Napolitano marchia come incauti ed inconsapevoli (questo è il significato del termine utilizzato) coloro che legittimamente la pensano diversamente da lui. Se questo non è un atto indegno per un Presidente della Repubblica, non si vede quale lo possa essere.
Grazie alla riforma caldeggiata da Napolitano il contratto di lavoro, ovvero il contratto che costituisce addirittura l’elemento fondante della Repubblica ex art. 1 Cost., diventerà definitivamente il meno tutelato nel panorama civilistico. Il lavoro, diritto già gradualmente eroso nelle precedenti riforme (secondo il noto principio della rana bollita che piace tanto anche all’alcolista Junker), diventerà l’unico contratto che si potrà risolvere per mero capriccio del datore, obbligando lo stesso unicamente a corrispondere un semplice indennizzo economico (sempre che il dipendente abbia disponibilità sufficienti a rivolgersi ad un avvocato negli stretti tempi d’impugnazione che la legge prevede per i licenziamenti) e ciò anche laddove fosse provato che il danno patito dal dipendente sia, in realtà, decisamente superiore.
Le imprese saranno istigate, nel pieno spirito della riforma, a mettere i propri dipendenti, precedentemente assunti a tempo indeterminato, difronte all’ipotesi che la legge sul lavoro mira a realizzare: o si accettano condizioni peggiorative del rapporto o si va immediatamente a casa. Spero e credo, anzi sono sicuro, che saranno pochi gli imprenditori delle nostre PMI che agiranno così, ma certamente le grosse imprese, ormai a capitale straniero, non si faranno scrupoli. Ecco a voi dunque un Presidente della Repubblica che vuole la deflazione salariale in nome della tutela dei mercati.
Parlare di un Presidente indegno è dunque vilipendio? Al Tribunale l’ardua sentenza, io sono pronto.
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