Il nome di Luigi Einaudi è stato più volte tirato in ballo dal Presidente della Repubblica, Sergio Mattarella, in questi giorni. Per chi conosce la storia e le idee di Einaudi, risulta ovvio che Mattarella lo assurga ad esempio, Einaudi infatti è stato di gran lunga il peggiore dei Padri Costituenti.
Convinto liberista ed avversario della sovranità popolare, Einaudi è sempre stato un teorico dell’idea, completamente erronea, che lo Stato dovesse restare fuori dall’economia per raggiungere il maggior benessere possibile. In sostanza fu il Mario Monti dell’epoca, ma fortunatamente le sue idee non passarono all’interno dell’Assemblea Costituente, che invece codificò un modello economico radicalmente opposto a quello che Einaudi desiderava. Non vi chiedo però di credere alle mie parole, ma voglio farvi leggere direttamente ciò che Einaudi scriveva e diceva.
Ringrazio in proposito Dario Zamperin per l’ottimo lavoro di ricerca e di puntuale verifica delle fonti.
In primo luogo Einaudi era un radicale avversario della Nazione italiana ed un convinto mondialista, esattamente come Mattarella: “Agli Stati Uniti d’America si dovrebbero contrapporre gli Stati Uniti d’Europa, in attesa di veder nascere in un momento ulteriore dell’incivilimento umano, gli Stati Uniti del mondo” (Corriere della Sera del 5 gennaio 1918).
Concetto ribadito anche alla fine della seconda guerra mondiale durante la seduta del 27 luglio 1947 dell’Assemblea Costituente: “Scrivevo trent’anni fa e seguitai a ripetere invano e ripeto oggi, spero, dopo le terribili esperienze sofferte, non più invano, che il nemico numero uno della civiltà, della prosperità è il mito della sovranità assoluta degli Stati”. Fin qui nulla di nuovo, Einaudi era un convinto mondialista avversario delle sovranità nazionali, che evidentemente vedeva come il male assoluto e come la causa diretta dei due conflitti mondiali del novecento.
In sostanza Einaudi, a differenza di quello che poi fu il pensiero dominante della Costituente, non comprendeva (non posso dire se fosse in buona o mala fede) che le guerre erano invece il frutto inevitabile del liberismo e non certo della sovranità nazionale. L’errore sull’analisi lo portava così ad affermare proprio che: “il frutto spirituale immateriale più altro dell’economia di mercato è quello di sottrarre l’economia alla politica” (Economia di concorrenza e capitalismo storico, 1942).
In pratica per Einaudi la sovranità popolare non doveva mai estendersi all’economia, che doveva essere lasciata unicamente in mano ai rapporti di forza, trattasi di un pensiero radicalmente incompatibile con l’art. 1 Cost., che sancisce l’appartenza popolare della sovranità al popolo, e radicalmente in contrasto con la parte economica della nostra Costituzione che, al contrario, subordina espressamente l’economia all’utilità sociale. La libertà economica dunque non può comprimere i diritti fondamentali dell’uomo.
Ovviamente un simile liberista non poteva che odiare anche l’appartenenza al popolo della sovranità monetaria ed infatti “Chi ricorda il malo uso che molti Stati avevano fatto e fanno del diritto di battere moneta non può aver dubbio rispetto all’urgenza di togliere ad essi così fatto diritto. (Omissis…) Se la federazione europea toglierà ai singoli Stati federali la possibilità di far fronte alle opere pubbliche col far gemere il torchio dei biglietti, e li costringerà a provvedere solo con le imposte e con i prestiti volontari avrà, per ciò solo, compiuto opera grande” (L’Unione Europea. Una visione liberale, pag. 85, 1944).
In sostanza il popolo ed i suoi rappresentanti non sono degni di un potere importante come l’emissione monetaria, che dunque va trasferita ad una elité che, non si sa bene per quale ragione, dovrebbe finire con il fare i nostri interessi anziche i priopri. Einaudi ipotizzava quindi esattamente la società avversata da Keynes, ipotizzava di vivere nella parodia dell’incubo di un contabile. L’uomo non può lavorare se non ci sono i soldi. Un’invenzione umana, i soldi appunto, concepiti per facilitare lo scambio di beni e servizi in sostituzione al mero baratto, elevata a legge naturale universale, la cui mancanza impedisce di fare.
Keynes avrebbe definito Einaudi obnubilato ed imbecille, perché il grande economista così apostrofava coloro che si perdevano in calcoli sofisticati perdendo di vista le soluzioni più semplici, ovvero dimenticando che se tutti lavorassero per costruire tutte le meraviglie di cui siamo capaci, anziché rimanere nell’ozio per logiche finanziarie, la nostra nazione sarebbe più ricca e giammai più povera (Autarchia Economica, 1933).
Poco sopra avevo evidenziato come Einaudi fosse il Mario Monti dell’epoca. Vi ricordate infatti cosa diceva Monti sulla crisi? Le crisi e le gravi crisi sono lo strumento per obbligare i popoli a cedere sovranità. Ed infatti Einaudi parimenti affermava: “Le crisi sono in gran parte il prezzo che occorre pagare perché le nuove invenzioni, le nuove idee, i nuovi metodi di produzione e di organizzazione del lavoro possano attuarsi. Senza le crisi non possederemo ferrovie, vetture, automobili, bonifiche, città moderne”. (Economia di concorrenza e capitalismo storico, 1942).
Confuso? Certamente lo era, ed anche tanto.
Non so appunto se fosse in buona o malafede, ma sicuramente Einaudi conosceva le conseguenze sociali del liberismo, ma evidentemente non era una persona dotata di empatia verso il prossimo, visto che arrivò anche a scrivere: “Se anche se ne andrà di mezzo una parte, forse grande, della moderna legislazione sociale di tutela universale e sulle assicurazioni in caso di malattie, disoccupazione, vecchiaia, invalidità; se anche ne usciranno stremate le organizzazioni coattive in cui oggi i lavoratori sono classificati, poco male. Anzi molto bene, se così avremo ridato agli uomini il senso della vita morale, della indipendenza, materiale e spirituale” (Economia di concorrenza e capitalismo moderno, 1942).
Uccidiamo i deboli, perché non meritano di esistere. Ecco la morale di Einaudi ed ecco ciò a cui si ispira davvero Sergio Mattarella, l’orrendo esecutore della volontà dei poteri economici che serve esattamente come una volta furono serviti da Einaudi. Per entrambi non è dato sapere se ci sia malafede o buonafede, resta il fatto che se passassero definitivamente le loro teorie, già purtroppo applicate con i tratatti europei, il mondo assomiglierà sempre di più ad un inferno ed il futuro sarà solo un futuro di lacrime e sangue, tanto sangue, come avvene nel novecento.
A proposito dei trattati UE. Ricordate il manifesto di Ventotene spesso elogiato a pietra fondante dell’Unione? Bene Einaudi influenzò pesantemente la parte economica di esso spingendo Spinelli, attraverso un intenso scambio epistolare, a sposare il modello economico liberista.
E chiudiamo proprio su una citazione sconosciuta ai più tratta dal manifesto di Ventotene: “Il popolo ha si alcuni bisogni fondamentali da soddisafare, ma non sa con precisione cosa volere e cosa fare (omissis…). Nelle epoche rivoluzionarie la prassi democratica fallisce clamorosamente”. Sapete perché? Lo scrive Spinelli in persona, sempre nel manifesto: “i democratici non rifuggono per principio alla violenza, ma la vogliono adoperare solo quando la maggioranza sia convinta della sua indispensabilità” e poi la tremenda stoccata finale su cui si fonda l’amata Europa di Mattarella ed Einaudi: “Sono perciò dirigenti adatti solo nelle epoche di ordinaria amministrazione”.
Mala tempora currunt.
Avv. Marco Mori – autore de “Il tramonto della democrazia, analisi giuridica della genesi di una dittatura europea” disponibile on line su ibs
Ennesimo ringraziamento
traditori della Patria,schiera di prezzolati…basta vedere e ascoltare le trasmissioni televisive…
liberismo:licenza di …uccidere…