Tra le tante perle (per i porci) di un Governo che ama parlare completamente a casaccio ed a sproposito, merita menzione particolare la “cazzata” da record del ministro poletti (la “m” e la “p” minuscole sono doverose).
Il ministro ha pensato bene di illuminare le giovani menti degli studenti della Luiss affermando che “l’ora di lavoro è un attrezzo vecchio che non permette l’innovazione”.
Mi verrebbe una battuta su chi è che davvero ha a disposizione “attrezzi” vecchi, ma sarei troppo volgare, in un pezzo che, già così, non fa della continenza espositiva il suo forte.
Per giustificare l’idiozia dell’affermazione il ministro continua “la storia secondo cui c’è un posto dove si va a lavorare, la fabbrica, è finita” e poi “Dovremo immaginare un contratto di lavoro che non abbia come unico riferimento l’ora di lavoro ma la misura dell’apporto dell’opera. L’ora di lavoro è un attrezzo vecchio che non permette l’innovazione”.
In sostanza cari lavoratori, non conta quanto lavorate, conta solo quanto siete produttivi! Se questo non basterà a sfamarvi sono affari vostri. L’ora è superata. Che vuol dire lavorare 8 ore? Che vuol dire riposare? Se non avete prodotto abbastanza inventeremo i turni di 68 ore.
Propongo a poletti una riforma (che noia questo correttore che vuole che metta la maiuscola a chi dispone di conoscenze istituzionali minuscole). Caro ministro, raddoppi la durata delle ore! Passiamole da 60 a 120 minuti! Così rivalutate potremo continuare ad usarle come “attrezzo”!
Consentitemi di tornare serio per un secondo. Ogni lavoratore ha diritto ad una retribuzione proporzionata alla quantità e alla qualità del lavoro prestato ed IN OGNI CASO sufficiente ad assicurare a SE, ED ALLA SUA FAMIGLIA, UN’ESISTENZA LIBERA E DIGNITOSA (art. 36 Cost).
Questo non lo dice Marco Mori, lo dice la Costituzione della Repubblica italiana, un testamento di centomila morti (cit. Piero Calamandrei).
Per cui caro ministro poletti vada a quel paese, lei e tutta la banda di analfabeti costituzionali al governo. Portate i vostri “attrezzi” altrove, di voi qui non abbiamo bisogno.