Come noto la Corte Costituzionale con la sentenza n. 70/2015, argomentata in maniera ineccepibile, ha dichiarato l’illegittimità costituzionale dell’art. 24 comma 25, del decreto-legge 6 dicembre 2011, n. 210 (disposizioni urgenti per la crescita, l’equità ed il consolidamento dei conti pubblici) poi convertito nella parte in cui prevede che: “in considerazione della contingente situazione finanziaria, la rivalutazione automatica dei trattamenti pensionistici, secondo i meccanismi di legge, è riconosciuta per gli anni 2012 e 2013, esclusivamente ai trattamenti pensionistici di importo complessivo fino a tre volte il trattamento minimo INPS nella misura del 100 per cento”.
La Corte ha ritenuto non sufficientemente esplicitate le esigenze finanziarie che avrebbe dovuto consentire il sacrificio di diritti fondamentali connessi al rapporto previdenziale quali: la proporzionalità del trattamento di quiescenza, inteso quale retribuzione differita (art. 36 primo comma Cost.) e l’adeguatezza (Art. 38 Cost.). Quest’ultimo principio fondamentale è da intendersi quale espressione certa (benché implicita) del principio di solidarietà di cui all’art. 2 Cost. ed attuazione del principio di eguaglianza sostanziale di cui all’art. 3.
Insomma detto in parole povere i pensionati hanno diritto a percepire quanto illegittimamente non corrisposto dallo Stato.
Il Governo tuttavia ha immediatamente dichiarato di non voler adempiere integralmente alla sentenza ed alla fine ha disposto rimborsi unicamente parziali, spacciandoli addirittura per un “bonus”.
Renzi ha chiamato la parziale inottemperanza ad un ordine dell’autorità “Bonus Poletti” con un inaccettabile tono di propaganda proprio di un regime totalitario.
Ciò che mi preme chiarire con il presente articolo è che ai pensionati spetta, senza tema di smentita, l’intera somma indebitamente trattenuta sulla scorta delle leggi previgenti a quella dichiarata incostituzionale, somma da maggiorarsi degli interessi di legge dal dovuto al saldo.
Il Governo giustifica l’inadempimento affermando di non avere i soldi. Ma ovviamente anche questa è una mera scelta politica: l’Italia recuperando la propria sovranità economica e monetaria (che peraltro non poteva essere ceduta in quanto appartenente al popolo italiano ex artt. 1, 10 ed 11 Cost.) è in grado di onorare qualsivoglia obbligazione.
Con decreto Renzi tenta dunque di aggirare la sentenza della Consulta verso la quale non sono state risparmiate infondatissime critiche, specie da quel Padoan che ovviamente persegue interessi diversi da quelli nazionali e non conosce un singolo articolo della nostra Costituzione.
Lo strappo costituzionale che gli incompetenti al Governo stanno creando ha del clamoroso: si ha infatti la pretesa di legiferare retroattivamente.
Tuttavia la legge non può che disporre per il futuro!
In particolare ai sensi e per gli effetti dell’art. 11 delle disposizioni sulla legge in generale è circostanza pacifica che la legge non possa che disporre per l’avvenire.
Testualmente: “La legge non dispone che per l’avvenire: essa non ha effetto retroattivo”.
La Corte, con il suo intervento, non ha creato alcun vuoto normativo ma ha semplicemente eliminato una norma incostituzionale. Le pensioni dunque debbono venire ricalcolate secondo legge con la conseguenza che appena la sentenza della Corte ha dispiegato i suoi effetti, il diritto dei pensionati a percepire gli arretrati è diventato situazione giuridica esaurita.
Il decreto di Renzi, il fantomatico “Bonus Poletti”, farà la stessa fine della norma del Governo Monti, sarà dichiarato incostituzionale.
L’art. 25 comma secondo Cost. esclude la retroattività in riferimento alle sole norme penali ma tale irretroattività delle leggi è confermata anche per le norma civili.
Con sentenza n. 6/1994 la Corte Cost. è già stata investita della questione con tale responso: “La possibilità di adottare norme dotate di efficacia retroattiva non può pertanto essere esclusa ove le norme stesse vengano a trovare un’adeguata giustificazione sul piano della ragionevolezza e non si pongano in contrasto con altri principi o valori costituzionali specificamente protetti”.
Ovvero il limite alla retroattività è dato dalla ragionevolezza della disposizione che si introduce e dall’assenza di contrasto con altri valori costituzionali protetti.
Tuttavia nel caso di specie questi valori vi sono e sono specificati nella sentenza n. 70/2015 che ha parlato di violazione degli artt. 2, 3, 36 e 38 Cost., rammentando altresì che trattasi di principi fondamentali dell’ordinamento e dunque di norme che, ai sensi e per gli effetti della stessa sentenza n. 238/14 della Consulta, non incontrano alcun limite scaturente dal diritto internazionale.
Il fatto che con la nuova legge il Governo tenti di specificare il perché tali valori costituzionali debbano soccombere di fronte ad un’emergenza di cassa potrà comunque divenire oggetto di successiva valutazione della Corte. E francamente è proprio qui che vogliamo andare a parare.
L’esito è già scritto.
I principi fondamentali dell’ordinamento ed i diritti inalienabili dell’uomo, quali sono quelli oggetto del contendere, sono sovraordinati (sentenza Corte Cost. 238/14) non solo alle norme internazionali (con buona pace dei vincoli esterni al deficit) ma anche agli altri principi costituzionali di rango primario ai quali il cd. pareggio in bilancio, assurdamente introdotto nel 2012, non appartiene.
L’occasione sarà ghiotta per cogliere la palla al balzo ed arrivare ad eliminare dall’ordinamento proprio lo stesso pareggio in bilancio e ciò mediante apposita eccezione di legittimità costituzionale della legge (costituzionale) n. 1/2012 da formularsi nel caso in cui il Giudice abbia davvero il dubbio che tale principio possa competere (e così non è) con quelli di rango primario e fondamentale.
Il divieto di perseguire politiche di deficit non trova compatibilità con la fondazione stessa della Repubblica sul lavoro e con la creazione di un risparmio diffuso (artt. 1 e 47 primo comma Cost.). Il risparmio ovviamente impone che lo Stato spenda più di quanto tassa nel lungo periodo, altrimenti è impossibile matematicamente (provare con il pallottoliere per credere… scelta consigliata per Puglisi ed amici).
Unica alternativa al pagamento di obbligazioni dello Stato senza fare deficit sarebbe solo quella di riavere nuovamente la propria moneta, con emissione a credito.
Sarà dunque divertente porre all’attenzione della Corte le due ipotesi.
L’art. 47 Cost. impone la tutela del risparmio: dunque o mi fate fare deficit o mi fate emettere moneta A CREDITO.
In sostanza o è illegittima la cessione di sovranità monetaria (e lo è) o è illegittimo il divieto al deficit.
Oppure, come ritiene lo scrivente, sono illegittime entrambe le cose.
Ma scommetto che l’idea di usare il pareggio in bilancio contro i mercati che lo hanno imposto sia una novità assoluta.
La considerazione è semplice se mi vieti il deficit io mi riprendo la moneta e mi finanzio senza ricorrere mai più ai mercati. D’altronde lo hanno voluto loro questo divieto… Io vorrei chiedere la mia moneta in prestito ma purtroppo non posso più farlo.
Non mi stupirebbe che così ragionando JP Morgan ed amici improvvisamente rivedessero le loro considerazioni sul pareggio in bilancio.
Il futuro riserva grossi mal di testa al sistema finanziario internazionale perché, pur avendo la volontà di sottometterci, non hanno la capacità intellettuale e tecnica per riuscirci.
A breve pubblicherò la memoria conclusiva nella causa pendente nanti al Tribunale di Genova relativa alla richiesta di ripristino della sovranità nazionale.
Con tale atto si approfondirà tecnicamente la natura giuridica del deficit pubblico ed il suo ruolo.
Oggi dico solo ai pensionati di non mollare, rivolgetevi ai professionisti e ricorrete in massa.
Ai professionisti invece dico di non chiedere acconti per una simile battaglia di civiltà!