Il forum di Assisi mi ha visto intervenire proprio su questo tema di straordinaria importanza pratica per le nostre vite. Ho deciso dunque di fare un semplice e breve articolo sul punto in attesa di potervi mettere a disposizione il video dell’evento.
Partiamo con il rammentare a chi spetterebbe detenere la sovranità in base alla nostra Costituzione. Ai sensi dell’art. 1 la sovranità appartiene al popolo che la esercita nelle forme e nei limiti previsti nella Costituzione stessa.
Suddetti limiti sono meglio specificati nell’art. 11 Cost. con il quale vengono consentite espressamente limitazioni della sovranità, limitazioni che tuttavia debbono anche rispettare precise condizioni. Le cessioni di sovranità invece non sono minimamente contemplate ma anzi costituiscono pacificamente reato ex art. 241 c.p. in quanto menomazioni definitive della personalità dello Stato e dunque atti, per definizione, ostili allo Stato stesso in quanto ne determinerebbero la sua cancellazione.
Partiamo dal concetto di limitazione di sovranità. La limitazione e’ qualcosa che consente alla Nazione di conservare la propria potestà sovrana. Dunque non si tratta di una cessione del proprio potere a titolo definitivo ma di una momentanea compressione dello stesso, necessariamente reversibile, ed indubbiamente non integrale. Peraltro tale limitazione deve avvenire in favore di un ordinamento sovranazionale e non certo verso organismi privati come i mercati o le banche.
Inoltre, per potersi parlare di limitazione, occorre che la stessa non comporti pregiudizio per i principi fondamentali della nostra Costituzione, ovvero pregiudizio verso quelle norme che costituiscono le fondamenta stessa della nostra Nazione. Principi intangibili ai quali i Trattati UE sono necessariamente subordinati, come già ampiamente riconosciuto dalla stessa Corte Costituzionale. Mi riferisco in particolare alla sentenza n. 284/2007 nella quale peraltro era presente, come giudicante, anche l’attuale Vice Presidente emerito della Corte Cost. Paolo Maddalena che e’ anche uno dei più importanti membri di “Riscossa italiana“, l’associazione di cui lo scrivente fa parte.
Il primo intangibile diritto e’ ovviamente quello con cui la Costituzione si apre ovvero l’art. 1 “L’Italia e’ una Repubblica democratica fondata sul lavoro”. A tale norma seguono i precetti degli artt. 2 e 3 i quali riconoscono rispettivamente i diritti inviolabili dell’uomo e gli obblighi inderogabili di solidarietà politica, economica e sociale nonché il principio di uguaglianza con il conseguente dovere, in capo alla Repubblica, di eliminare gli ostacoli che rendano impossibile, che proprio suddetta uguaglianza, si esplichi con pienezza.
Tale quadro normativo non e’ un enunciato meramente formale ma costituisce preciso obbligo per la Repubblica che non può neppure ipotizzare di aderire ad un ordinamento internazionale che comprima tali diritti. Ulteriore specificazione degli stessi diritti fondamentali si trova nella parte economica della carta laddove si consacra la superiorità dell’interesse pubblico sulla, pur libera, iniziativa privata e si subordina l’esercizio del credito (art. 47) al coordinamento ed al controllo della Repubblica in modo che la politica monetaria stessa sia rivolta al conseguimento della piena occupazione ed al mantenimento di uno Stato sociale nel quale operino proprio gli inderogabili doveri di solidarietà politica, economica e sociale. Il lavoro e’ l’obiettivo unico su cui si fonda l’Italia ed il credito e’ posto al suo servizio.
Compresa la differenza tra cessione e limitazione di sovranità ed appurato il limite assoluto dei principi fondamentali della Carta, occorre esaminare gli ulteriori due requisiti necessari affinché una limitazione di sovranità possa considerarsi legittima.
Si deve quindi esaminare cosa s’intenda con “condizioni di parità”. Ovvio che tale concetto significa che, nel momento in cui lo Stato accetta di limitare la propria sovranità in misura che sia compatibile con il rispetto dei principi fondamentali dell’ordinamento, lo debba fare in necessaria reciprocità di condizioni con gli altri paesi. Ovviamente sul punto non si può che fare riferimento all’eccezione di uguaglianza piena e totale di cui all’art. 3 Cost. condizione mai verificatasi nei Trattati dove gli Stati non sono posti sullo stesso piano potendo addirittura fare politica monetaria a condizioni completamente diverse (si pensi solo, a titolo esemplificativo, al costo degli interessi sul debito della Germania rispetto a quello italiano oppure alla diversa tassazione presente in ogni Nazione UE).
Infine, ultimo requisito da esaminare e’ il vincolo di scopo della limitazione della sovranità. Ovvero si può limitare una sovranità nel momento in cui lo si fa per aderire ad un organismo che promuova la pace e la giustizia tra le nazioni. Non ogni sovranità e’ dunque limitabile e ciò emerge anche dalla piana lettura dei verbali della costituente laddove la proposta di comprimere qualsiasi sovranità fu addirittura bocciata espressamente.
Fatta questa doverosa premessa esaminiamo, per sommi capi, quali siano le conseguenze sulla sovranità nazionale patite in seguito all’introduzione dei vincoli esterni imposti dall’UE.
In ambito monetario abbiamo pacificamente una cessione integrale di sovranità compiuta in favore di un organismo che sfugge a qualsivoglia controllo democratico, BCE. In particolare i trattati UE prevedono che sia la banca centrale europea a decidere la politica monetaria ed ad emettere moneta (esclusivamente in favore delle banche commerciali) senza neppur poter prendere consiglio dalle nazioni e addirittura dagli altri organi dell’unione europea. La nostra banca centrale inoltre non e’ prestatrice di ultima istanza ed anzi non può concedere qualsivoglia tipo di agevolazione creditizia agli Stati. L’Italia ha pertanto pacificamente ceduto e non solo limitato la propria sovranità monetaria, dovendo così ricorrere ai mercati per soddisfare ogni sua esigenza di cassa con conseguente impossibilità di alzare la base monetaria e di essere quindi padrona del proprio destino occupazionale. Senza moneta non e’ possibile fare politica economica. Davvero non male per una Repubblica fondata sul lavoro.
Chiaro infatti che la piena occupazione si può ottenere unicamente tramite politiche monetarie atte ad incrementare l’inflazione necessaria ad assorbire la disoccupazione secondo l’unanimemente riconosciuto principio della cd. curva di Philips. Se invece si taglia anche in fase di recessione si finisce per distruggere la domanda interna aprendo la strada agli scenari deflattivi a cui stiamo assistendo.
L’Italia ha altresì rinunciato alla propria sovranità in materia di politiche economiche (ancora una volta si deve parlare di cessione e non di limitazione) per fini assolutamente diversi di quelli di ottenete la pace e la giustizia tra le nazioni. Anzi le politiche economiche imposte dai trattati UE e dai regolamenti (a partire dal poco noto 1466) stanno finendo con l’incrementare l’odio tra le nazioni.
La disoccupazione, la deflazione dei salari e la progressiva disattivazione delle garanzie costituzionali minime previste nella nostra carta avvengono perché lo Stato e’ obbligato, per rispettare i parametri imposti dall’UE a tagliare ogni uscita ed ad aumentare le tasse sottraendo così ricchezza all’economia reale e deprimendo la domanda interna.
In particolare l’Europa ha prima imposto un vincolo massimo di indebitamento annuo rispetto al PIL (3%) prevedendo programmi di sorveglianza da parte della commissione idonei a sanzionare gli Stati inadempienti. Poi, nonostante che tale tetto avesse creato recessione in molti paesi, ha via via aumentato detti vincoli arrivando ad imporre una riduzione effettiva del debito fino al 60% del P.I.L. ed il pareggio in bilancio per ogni nazione. Con il “two pack” si e’ completato il PSC (piano di stabilità e crescita) che impone la riduzione del debito in vent’anni proprio entro il parametro del 60% del P.I.L. Si badi bene che tali vincoli esistono anche laddove una nazione avrebbe modo di fare deficit maggiori in quanto i mercati assorbirebbero le relative emissioni obbligazionarie.
Ovviamente non avendo la possibilità di emettere moneta, l’unico modo per ridurre il debito pubblico e’ matematicamente quello di saccheggiare i risparmi nazionali, vendere ogni bene pubblico, oppure impoverire le nazioni vicine (esattamente come ha fatto la Germania fino ad oggi). Non vi sono altri sistemi. Tali saccheggi riguardano sia il patrimonio pubblico che quello privato e portano all’inevitabile smantellamento dei diritti inviolabili dell’uomo che diventano secondari rispetto alle regole economiche imposte. Ogni cosa diviene privata e passa nelle mani di chi emette la moneta.
Un sistema così concepito annulla la sovranità popolare e si propone unicamente lo scopo manifesto di smantellare lo Stato che così soccombe difronte alla logica del liberismo assoluto (oppure ordoliberismo come ama chiamarlo Luciano Barra Caracciolo, Presidente di Sezione del Consiglio di Stato ed altro membro fondamentale di Riscossa Italiana).
Trattasi di una forma di libero mercato assai anomala come evidente laddove si considera che chi può approvvigionarsi di moneta direttamente da bce al tasso ufficiale di sconto (dunque a tassi bassissimi e irraggiungibili sia per gli Stati che per qualsiasi altro privato non facente parte del circuito bancario) certamente non compete in pari condizioni con ogni altro soggetto privato ma anzi diventa un vero e proprio monopolista.
Dunque la sovranità non si e’ spostata realmente in organi sovranazionali democratici ma addirittura, in gran parte, e’ letteralmente evaporata e sostituita da altro tipo di sovranità, quella dettata dal monopolio del potere economico. Ovvero la sovranità basata sulla legge del più forte che oggi pende in favore di chi ha la proprietà della moneta al momento della sua creazione. Ecco chi detiene la sovranità in Europa…