Grazie a Paolo De Titta per l’autorizzazione alla pubblicazione di quanto accaduto nanti al Tribunale di Lanciano, una storia che il paese deve conoscere e che dovrà essere conservata nella memoria storica.
Paolo De Titta è uno dei coraggiosi cittadini che ha depositato la denuncia penale contro il colpo di Stato finanziario che ho pubblicato su questo sito (CLICCA QUI). In data 19.09.2014 il P.M., Dott.ssa De Vecchi, ha archiviato l’esposto ritenendolo “sconnesso e delirante”. L’uscita del PM oltre che errata è stata dunque anche gravemente inopportuna.
Al netto delle espressioni offensive l’archiviazione non era in alcun modo motivata:
Pertanto Paolo De Titta mi ha incaricato di redigere l’opposizione che ivi si trascrive:
TRIBUNALE DI LANCIANO
PROCEDIMENTO RGNR 1877/14
ATTO DI OPPOSIZIONE ALLA RICHIESTA DI ARCHIVIAZIONE
Il Sig. Paolo De Titta, persona offesa nel procedimento emarginato, nato a Lucerna (Svizzera) il 24.02.1975 e residente in Sant’Eustanio del Sangro, Vico del Cavaliere n. 5 ed ai fini del presente atto elettivamente domiciliato in Rapallo, C.so Mameli 98/4 presso lo studio e la persona dell’Avv. Marco Mori del foro di Chiavari (Tel e Fax: 0185.23122 – Pec: studiolegalemarcomori@pec.it) suo difensore di fiducia giusta nomina in atti, col presente atto intende opporsi alla richiesta di archiviazione ex artt. 408 e segg. c.p.p. emessa dal P.M. Procedente Dott.ssa Rosaria Vecchi e notificata a questo difensore in data 3.11.2014 e ciò per i seguenti
MOTIVI
-Il provvedimento di richiesta di archiviazione pare davvero disarmante, al netto delle espressioni offensive utilizzate dal P.M. nei confronti dell’esponente, ovvero l’uso dei termini “sconnesso e delirante”, non vi sono ulteriori motivazioni;
-Si chiede sin d’ora l’immediata cancellazione delle stesse riservata ogni diversa ed ulteriore azione nei confronti dell’autore.
Entriamo dunque nel merito della denuncia che è assolutamente concreta, specifica e certamente non formulata nei confronti di persone ignote come erroneamente rubricata dal P.M. I nomi sono chiaramente elencati nell’atto e riguardano le più alte cariche dello Stato dal 1992 in poi.
* * *
1. Sulla sussistenza della fattispecie di reato cui all’art. 241 c.p.
La fattispecie delittuosa in esame è inserita nel titolo I della Libro secondo del codice penale e riguarda specificatamente i delitti contro la personalità dello Stato: “dei delitti contro la personalità dello Stato”.
L’art. 241 c.p. punisce gli attentati all’integrità ed all’indipendenza dello Stato: “Salvo che il fatto costituisca più grave reato, chiunque compie atti violenti diretti ed idonei a sottoporre il territorio dello Stato o una parte di esso alla sovranità di uno Stato straniero, ovvero a menomare l’indipendenza o l’unità dello Stato, è punito con la reclusione non inferiore a dodici anni”.
La norma, per quanto rileva ai fini del presente procedimento, punisce due tipologie di condotte specifiche ovvero: a) la sottrazione della sovranità nazionale ad opera dello straniero; b) la semplice menomazione dell’indipendenza nazionale.
Dopo la riforma del 2006 la condotta è punita se commessa con atti violenti. La violenza, per giurisprudenza costante, è presente anche allorquando si è in presenza di una minaccia ovvero di un inganno. Tale ragionamento vale solo laddove non si condividesse, quanto già espresso nell’esposto, ovvero che la modifica legislativa al Codice Penale del 2006 sia parte stessa del reato.
Mario Monti ha avuto modo di dichiarare testualmente che: “Io ho una distorsione che riguarda l’Europa ed è una distorsione positiva, anche l’Europa, non dobbiamo sorprenderci che l’Europa abbia bisogno di crisi e di GRAVI crisi per fare passi avanti. I passi avanti dell’Europa sono per definizione cessioni di parti delle sovranità nazionali a un livello comunitario . E’ chiaro che il potere politico, ma anche il senso di appartenenza dei cittadini, ad una collettività nazionale possono essere pronti a queste cessioni solo quando il costo politico e psicologico di non farle diventa superiore al costo del farle perché c’è una crisi in atto visibile conclamata. Certamente occorrono delle autorità di enforcement (n.d.s. costrizione traducendo in Italiano) rispettate che si facciano rispettare che siano indipendenti e che abbiano risorse e mezzi adeguati oggi abbiamo in Europa troppi Governi che si dicono liberali e che come prima cosa hanno cercato di attenuare la portata la capacità di azione le risorse l’indipendenza delle autorità che si sposano necessariamente al mercato in un’economia anche solo liberale” (http://youtu.be/b_EsSGirCmM).
Una simile dichiarazione onestamente rappresenterebbe addirittura l’opportunità di disporre un giudizio immediato, rendendo superflua qualsivoglia attività d’indagine alla luce della piana lettura del dettato della fattispecie incriminatrice.
La crisi economica come atto deliberato per ottenere cessioni della sovranità nazionale.
Per comprendere meglio la situazione occorre tuttavia una precisa conoscenza Costituzionale ed economica che purtroppo sfugge normalmente ai giuristi, anche ai più preparati, anche perché in pochi hanno letto i Trattati Europei. La crisi è codificata in essi al fine di cancellare la sovranità e l’indipendenza nazionale.
Prima della lettura di quanto segue, per una più semplice comprensione, si invita alla visione del video del convegno di Riscossa Italiana (www.riscossaitaliana.it) tenutosi a Roma in data 8.11.2014. Aiuta infatti ad avere una visione d’insieme del problema che non può essere compresa senza il necessario approccio multidisciplinare.
Al convegno erano presenti addirittura due Presidenti di Sezione del Consiglio di Stato ovvero Luciano Barra Caracciolo e Salvatore Giacchetti (durissimo come l’esponente in merito alla presenza di condotte costituenti reato negli eventi di questi anni). Pertanto, prima di ipotizzare anche per questi due giuristi di assoluto valore la presenza di un qualche “delirio”, sarebbe opportuna ascoltare e comprendere le loro riflessioni. (http://www.riscossaitaliana.it/costituzione-economica-video-convegno-roma/).
Fatto ciò si può passare al necessario esame normativo.
L’art. 1 Cost. recita: “L’Italia è una Repubblica fondata sul lavoro. La sovranità appartiene al popolo che la esercita nelle forme e nei limiti della Costituzione”.
Il modo naturale con cui si esprime la sovranità è chiaramente il diritto di voto che tuttavia, come segnalato nell’esposto, noi non esercitiamo in maniera libera, eguale e personale ormai dal 2005, ovvero dall’avvento del porcellum, legge elettorale che da poco è stata dichiarata incostituzionale (Con sentenza n. 1/2014). Ma ovviamente il diritto di voto, anche qualora svolto in maniera perfettamente legittima (senza premio di maggioranza e liste bloccate composte da nominati), non può consentire l’esercizio popolare della sovranità che sia stata già previamente ceduta dallo Stato. Inutile votare in una nazione non più sovrana.
E’ l’art. 11 Cost. a trattare il tema della limitazione della sovranità nazionale in riferimento al “vicolo esterno” dei Trattati Europei: “La Repubblica consente in condizioni di parità con gli altri Stati alle LIMITAZIONI di sovranità necessarie ad un ordinamento che assicuri la pace e la giustizia tra i popoli”.
Orbene la Repubblica, e’ immediatamente evidente dal contenuto letterale dell’articolo, consente semplicemente alle limitazioni di sovranità e giammai permette, le pur invocate, cessioni (Padoan, Draghi, Napolitano, Monti, Renzi ovvero la richiesta fatta da tutti i soggetti denunciati dall’esponente). Lapalissiano infatti che cedere è cosa ben diversa dal limitare.
Limitare significa chiaramente omettere di esercitare una prerogativa sovrana, contenere il proprio potere. Limitare dunque non implica mai la consegna a terzi della gestione di questo potere. Un esempio? L’eliminazione delle frontiere. Se permetto a persone provenienti da uno Stato con cui ho stipulato un trattato di varcare, senza limiti, il confine nazionale compio pacificamente una mera limitazione di sovranità. Se invece decidessi di far controllare questo confine da un ordinamento esterno compirei una cessione.
Altresì, fermo il divieto pacifico di cessioni, anche per le mere limitazioni la Costituzione pone comunque il vincolo delle condizioni di parità tra le nazioni (esistono oggi queste condizioni? Certamente no, basta solo pensare alle differenze con cui ogni Stato si finanzia ed al fatto, per fare un altro esempio, che in UE abbiamo paesi non aderenti all’Euro) ed il vincolo di scopo della limitazione finalizzata alla pace e alla giustizia tra i popoli .
Per un approfondimento sul tema è sufficiente la piana lettura dei lavori dell’assemblea costituente (caldamente raccomandata) che, come noto, costituisce e rappresenta quella che si può definire l’interpretazione autentica della Costituzione dato che riporta i verbali del dibattito della genesi della carta. Ebbene, nel marzo del 1947, venne discusso un emendamento volto all’eliminazione del precitato vincolo di scopo. Dunque si dibatte se consentire la limitazione di qualsivoglia sovranità e non solo di quella inerente all’adesione ad un ordinamento finalizzato alla pace e alla giustizia tra i popoli. L’emendamento fu respinto.
Dunque non solo non è possibile cedere la sovranità, ma non è possibile anche solo limitarla per scopi, ad esempio, meramente economici.
Dunque l’inquadramento Costituzionale è addirittura banale. Orbene, a questo punto, occorre chiedersi se, in materia monetaria, la sovranità sia stata ceduta o meramente limitata. Non vi è dubbio alcuno: si tratta di una manifesta cessione e dunque, ad oggi è ultroneo domandarsi se la stessa sia o meno finalizzata all’ottenimento della pace e della giustizia tra le nazioni, oppure se avvenga in condizioni di parità.
Analizzando i fatti e la cronologia di questa cessione non possiamo, almeno in riferimento ai tempi recenti, che analizzare i Trattati UE.
Si trascrivono, per comodità del lettore, gli articoli che certificano l’illegittima cessione della sovranità nazionale in materia monetaria ed economica secondo la numerazione oggi consolidata, e dunque successiva anche al Tratatto di Lisbona del 2007.
-Articolo 127 (versione consolidata TFUE) – (ex articolo 105 del TCE)
1. L’obiettivo principale del Sistema europeo di banche centrali, in appresso denominato “SEBC”, è il mantenimento della stabilità dei prezzi. Fatto salvo l’obiettivo della stabilità dei prezzi, il SEBC sostiene le politiche economiche generalinell’Unione al fine di contribuire alla realizzazione degli obiettivi dell’Unione definiti nell’articolo 3 del trattato sull’Unione europea (n.d.s. la stabilità dei prezzi che tanto piace ai creditori viene prima di ogni sviluppo o sostegno economico). Il SEBC agisce in conformità del principio di un’economia di mercato aperta e in libera concorrenza, favorendo una efficace allocazione delle risorse e rispettando i principi di cui all’articolo 119.
2. I compiti fondamentali da assolvere tramite il SEBC sono i seguenti:
− definire e attuare la politica monetaria dell’Unione(n.d.s. ecco la cessione di sovranità ad un
ordinamento straniero),
–svolgere le operazioni sui cambi in linea con le disposizioni dell’articolo 219,
−detenere e gestire le riserve ufficiali in valuta estera degli Stati membri,
− promuovere il regolare funzionamento dei sistemi di pagamento.
3. Il paragrafo 2, terzo trattino, non pregiudica la detenzione e la gestione da parte dei governi degli Stati membri di saldi operativi in valuta estera.
4. La Banca centrale europea viene consultata:
− in merito a qualsiasi proposta di atto dell’Unione che rientri nelle sue competenze,
− dalle autorità nazionali, sui progetti di disposizioni legislative che rientrino nelle sue competenze, ma entro i limiti e alle condizioni stabiliti dal Consiglio, secondo la procedura di cui all’articolo 129, paragrafo 4.
La Banca centrale europea può formulare pareri da sottoporre alle istituzioni, agli organi o agli organismi dell’Unione competenti o alle autorità nazionali su questioni che rientrano nelle sue competenze.
5. Il SEBC contribuisce ad una buona conduzione delle politiche perseguite dalle competenti autorità per quanto riguarda la vigilanza prudenziale degli enti creditizi e la stabilità del sistema finanziario.
6. Il Consiglio, deliberando all’unanimità mediante regolamenti secondo una procedura legislativa speciale, previa consultazione del Parlamento europeo e della Banca centrale europea, può affidare alla Banca centrale europea compiti specifici in merito alle politiche che riguardano la vigilanza prudenziale degli enti creditizi e delle altre istituzioni finanziarie, escluse le imprese di assicurazione.
-Articolo 128 (versione consolidata TFUE) – (ex articolo 106 del TCE)
1. La Banca centrale europea ha il diritto esclusivo di autorizzare l’emissione di banconote in euro all’interno dell’Unione. La Banca centrale europea e le banche centrali nazionali possono emettere banconote. Le banconote emesse dalla Banca centrale europea e dalle banche centrali nazionali costituiscono le uniche banconote aventi corso legale nell’Unione.
Lo Stato dunque ha rinunciato a poter stampare direttamente, cosa che non faceva già anche in data antecedente al 1981 (ultimo tentativo sul punto furono le 500 Lire di Aldo Moro). Certamente non passa inosservato che ciò che prima era solo una libera scelta così è diventato un divieto permanente e soprattutto che si è in presenza di una palese ed illecita cessione della sovranità nazionale.
– Articolo 130 – (ex articolo 108 del TCE)
1. Nell’esercizio dei poteri e nell’assolvimento dei compiti e dei doveri loro attribuiti dai trattati e dallo statuto del SEBC e della BCE, né la Banca centrale europea né una banca centrale nazionale né un membro dei rispettivi organi decisionali possono sollecitare o accettare istruzioni dalle istituzioni, dagli organi o dagli organismi dell’Unione, dai governi degli Stati membri né da qualsiasi altro organismo. Le istituzioni, gli organi e gli organismi dell’Unione nonché i governi degli Stati membri si impegnano a rispettare questo principio e a non cercare di influenzare i membri degli organi decisionali della Banca centrale europea o delle banche centrali nazionali nell’assolvimento dei loro compiti.
Ecco l’attuazione europea della dottrina dell’indipendenza della banca centrale. Ovviamente se la banca centrale è indipendente sarà lo Stato a non esserlo più. Stato che invece è assolutamente ed innegabilmente dipendente dalle politiche monetarie di BCE.
Sul punto dunque siamo pacificamente di fronte ad una menomazione dell’indipendenza nazionale, condotta che rientra letteralmente nel dettato dell’art. 241 c.p. Restando così discutibile solo la sussistenza dell’atto violento necessario alla consumazione del reato. Sussistenza che risulterà più che chiara non appena apprese nozioni base di macroeconomia che infra si esporranno.
-Articolo 123 (versione consolidata TFUE) – (ex articolo 101 del TCE)
1. Sono vietati la concessione di scoperti di conto o qualsiasi altra forma di facilitazione creditizia, da parte della Banca centrale europea o da parte delle banche centrali degli Stati membri (in appresso denominate “banche centrali nazionali”), a istituzioni, organi od organismi dell’Unione, alle amministrazioni statali, agli enti regionali, locali o altri enti pubblici, ad altri organismi di diritto pubblico o a imprese pubbliche degli Stati membri,così come l’acquisto diretto presso di essi di titoli di debito da parte della Banca centrale europea o delle banche centrali nazionali.
La banca centrale dunque non potrà mai fornire moneta agli Stati, neppure comprando i loro titoli direttamente al tasso ufficiale di sconto che essa stessa unilateralmente determina (gli acquisti, quando avvengono, sono attuati sul mercato secondario a tassi d’interesse molto più alti). Insomma la banca potrà emettere tutta la moneta che sovranamente ritiene, ma la dovrà accreditare unicamente alle banche commerciali.
Queste norme rappresentano la più palese certificazione documentale dell’avvenuta cessione della sovranità monetaria che si possa immaginare. Cessione avvenuta in favore di un ordinamento esterno al modello Costituzionale.
Ma vi è di più, tale sistema è palesemente incompatibile anche con l’art. 47 Cost. che, essendo inserito nella parte economica della carta, semplicemente chiarisce e specifica quelli che sono i principi fondamentali dell’ordinamento. Proprio al fine di avere una Repubblica fondata sul lavoro e non sui capricci della finanza fu disposto con assoluta chiarezza che: “La Repubblica disciplina, coordina e controlla il credito”.
Oggi non solo la Repubblica non coordina e non controlla il credito ma addirittura è il settore creditizio ad imporre le politiche economiche allo Stato. Come prova pacificamente quanto avvenne nel 2011 (fatto citato nell’esposto) allorquando, una lettera di BCE, aprì la porta alla devastazione della nostra economia. BCE, strumentalizzava la falsa crisi dello spread, che era stata in realtà direttamente provocata dalla banca centrale con l’annuncio di non sostenere il debito italiano neppure sul mercato secondario; iniziava allora l’attacco volto allo smantellamento degli stati nazionali.
Ecco che a questo punto occorre aggiungere una necessaria spiegazione economica del problema al fine di poter chiaramente visualizzare laddove sussista l’elemento scatenante della crisi, ovvero si comprenda appieno la leva con cui si cerca di ottenere, come detto appunto anche da Mario Monti, la cessione illegittima di ulteriori fette di sovranità nazionale.
Sul punto dobbiamo esaminare il patto di stabilità e crescita codificato attraverso i Trattati UE ed i Regolamenti della Commissione Europea e comprenderli alla luce della comparazione con il difforme modello rappresentato nella parte economica della nostra Costituzione.
Tale valutazione passa necessariamente del ruolo del risparmio e della moneta nel disegno costituzionale.
L’art. 47 primo comma Cost. dispone: “La Repubblica incoraggia e tutela il risparmio, in tutte le sue forme, disciplina coordina e controlla il credito.
Favorisce l’accesso del risparmio popolare alla proprietà dell’abitazione, alla proprietà diretta coltivatrice e al diretto investimento azionario nei grandi complessi produttivi del paese”.
Il tema del risparmio, risparmio che per il secondo comma dell’art. 47 Cost. deve essere diffuso (ovvero riguardare la generalità dei consociati), è sempre con maggior frequenza dimenticato nel nostro ordinamento e la mancanza di conoscenza sul punto non consente la comprensione giuridica del procedimento di cui si dibatte.
La definizione di risparmio, peraltro, è assai semplice: trattasi di quella parte del reddito non utilizzata e quindi accantonata da ogni cittadino.
Tutelare il risparmio “in tutte le sue forme” comporterebbe certamente un approccio completamente diverso alla politica economica. Siamo in presenza di una sostanziale abrogazione tacita del precetto costituzionale causato da quello che possiamo a tutti gli effetti chiamare “un vincolo esterno” proveniente dall’UE.
Come sempre quando si parla di Costituzione è utile leggere i verbali dell’assemblea costituente. Da essi si evince con forza quanto fosse chiaro e limpido il concetto della tutela del risparmio nelle intenzioni dei padri costituenti, ciò come conseguenza diretta ed immediata della stessa fondazione della Repubblica sul lavoro e del diritto del lavoratore ad una retribuzione adeguata a garantirgli un’esistenza libera e dignitosa (art. 36 Cost.).
Il risparmio è necessario per tale finalità ovviamente.
L’onorevole Tupini, nel dibattito della sottocommissione che presiedeva, propose l’inserimento in Costituzione della seguente dicitura: “La legge regola e tutela il risparmio”. Merlin propose invece la formula: “La legge tutela e difende il risparmio”.
Tanto era chiaro il concetto che la replica a queste formulazioni di Mastrojanni dichiarava che, a suo avviso, la formula proposta dal Presidente era addirittura pleonastica. Nessun cittadino può dubitare che il suo risparmio possa essere aggredito. Bei tempi.
Compito del Parlamento e del Governo è dunque certamente quello di tutelare il risparmio nel senso più totale e pieno del termine. Ma cosa implica tutto ciò e come può essere messo in relazione con i criteri di stabilità e convergenza da Maastricht in poi? Come queste ulteriori, illecite, cessioni di sovranità determinano una crisi economica volontaria ed irreversibile?
Per rispondere a tale quesito occorre in primo luogo avere ben chiaro come si verifica il fenomeno dell’accantonamento del risparmio stesso entrando necessariamente in logica di politica economica e monetaria.
Ovviamente il risparmio privato è per definizione il risultato di una politica di deficit dello Stato. In sostanza se lo Stato recupera a tassazione ogni singolo euro immesso nel sistema chiaramente lo stesso concetto di risparmio diventa una mera utopia non essendo più realizzabile matematicamente.
Uno Stato che fin dalla sua nascita adotta il principio del pareggio in bilancio è uno Stato che non tutela il risparmio in tutte le forme ma lo rende impossibile ex lege. Un lavoratore che non può risparmiare non potrà avere conseguentemente un’esistenza libera ne tanto meno dignitosa
Il concetto sembra solo in apparenza contro intuitivo, anche per i giuristi, come dimostrano gli epiteti rivolti all’esponente dal PM che evidentemente ignora la tematica. Ciò accade in quanto anche i professionisti sono soggetti a forme di condizionamento mediatico e culturale che trovano terreno fertile laddove le nostre competenze non sono sufficienti ad avere un pensiero del tutto autonomo e fondato su solide basi in fatto ed in diritto.
Orbene deve essere chiarito fino a rendere il concetto pacifico per tutti, esattamente come è oggi pacifico affermare che la terrà non è piatta, che ad uno Stato non possono applicarsi logiche economiche di stampo aziendale e dunque logiche proprie della microeconomia.
Un’azienda crea risparmio facendo attivo, lo Stato invece può crearlo, per i propri consociati, unicamente attraverso il proprio passivo, ovvero immettendo più moneta di quanta ne drena. Lo Stato secondo il modello costituzionale dunque è la figura che regolamenta le principali variabili macroeconomiche del paese lo Stato appunto deve: “disciplinare, coordinare e controllare il credito”.
Lo Stato in definitiva deve immettere moneta nel circuito economico.
Una moneta può essere immessa in circolo unicamente attraverso la stampa di diretta, attraverso la spesa pubblica in deficit (meccanismo oggi adottato), oppure attraverso le esportazioni. Oggi la stampa diretta di moneta e la spesa pubblica sono precluse dai Trattati UE e dunque ci rimane solo la via dell’esportazione, dunque la base monetaria può essere aumentata unicamente drenando liquidità da altre nazioni (esattamente in questo contesto si spiega l’attivo della bilancia dei pagamenti della Germania, forte grazie alle esportazioni).
Viene altresì facile intuire che non potendo svalutare la moneta il nostro paese può tornare a crescere unicamente con le esportazioni e dunque per farlo deve acquisire la tanto decantata (Monti docet) maggiore competitività, ottenibile solo passando dalla svalutazione salariale, ovvero facendo esattamente l’opposto di quanto prevede il modello costituzionale.
I salari si svalutano unicamente distruggendo la domanda interna e causando una spirale deflazionistica (destroy internal demand – Mario Monti – http://youtu.be/b_EsSGirCmM). Tutto secondo pronostico, ma palesemente contrario al dettato Costituzionale che fonda la Repubblica sul lavoro.
Riportiamo sul punto alcune considerazioni proprie del Presidente della V Sezione del Consiglio di Stato – Luciano Barra Caracciolo (Si invita alla lettura del libro Euro e (o?) democrazia costituzionale – La convivenza impossibile tra Costituzione ed i Trattati Europei Edizioni Dike, anno 2013 o all’ascolto di questo video in cui il giurista spiega decisamente meglio il tema di quanto possa fare lo scrivente: http://youtu.be/pSObpWj_xts):
“Tra i principi costituzionali italiani, preannunziato dagli artt. 1, 3 e 4 Cost., c’è al vertice la tutela del lavoro. Essa, vedremo, all’interno della Costituzione, non può che equivalere a politiche pubbliche economiche di “piena occupazione”. E, più precisamente, in combinato con gli artt. 36 e 41 Cost. nella stesa tutela reale dei redditi di tutti quelli che svolgono un lavoro, in qualsiasi forma.
Lo strumento principale di queste politiche pubbliche è il c.d. deficit: definire il ruolo dell’indebitamento annuale pubblico rinvia, con un’urgenza che è ormai divenuta emergenza, alla comprensione della contabilità nazionale, problema che i giuristi e la stessa Corte Costituzionale non possono più eludere, proprio perché il deficit, una volta compresa la contabilità nazionale, ha un preciso significato giuridico-costituzionale che lo raccorda ai predetti principi fondamentali inviolabili.
Ed infatti il deficit pubblico è la risultante di risparmio privato e saldo delle partite correnti della bilancia dei pagamenti. Deve chiarirsi perciò, da subito, che se riduco il deficit, riduco il risparmio privato nazionale, salvo si riesca a realizzare un saldo positivo della bilancia dei pagamenti superiore alla riduzione del risparmio.
Questa simultanea condizione è molto difficile da realizzare e da mantenere come evidenziò Keynes: se riduco il risparmio privato, avrò prima, inevitabilmente, ridotto il reddito e l’occupazione, e, quindi gli stessi investimenti. In sostanza avrò non solo ridotto immediatamente la crescita, ma spererò di ottenerla poi dalle sole esportazioni basandomi su una riduzione dei costi, cioè dei compensi del lavoro (di ogni tipo), ma senza prospettive di mantenere questa competitività nel lungo periodo per il sacrificio simultaneo di investimenti netti (nuovi impianti) e lordi (manutenzione di quelli esistenti).
Ma com’è che il deficit, nella dinamica economica (e costituzionale), si traduce in risparmio?
Nella scelta fatta dalla nostra Costituzione, attraverso il salario (o reddito) indiretto (Sanità pubblica, Servizi pubblici e le relative politiche tariffarie, prestazioni sociali primarie: pubblica istruzione, assicurazioni infortuni, ecc.) e il salario differito (tutta la previdenza pensionistica in senso lato): cioè attraverso l’insieme delle erogazioni pubbliche su cui può contare il cittadino medio nel decidere, nel corso della sua vita il proprio livello di spesa. Che poi è il ben noto PIL.
Quindi: se taglio il deficit pubblico, inevitabilmente, taglio il reddito-spesa pubblico-privato in questione, e lo stesso PIL. A parte la predetta insostenibilità di medio-lungo (ormai questa folle politica economica prosegue dal 1992. n.d.s.) periodo sugli indispensabili investimenti, va aggiunto che, quand’anche realizzassi la sperata crescita dell’export, ciò non risulta indifferente su chi realizza il risparmio derivante da questo indirizzo economico: che tra l’altro, nessuno ha mai realizzato con una valuta sopravvalutata come l’Euro, neppure la Germania che deve il sua attivo sulla bilancia dei pagamenti al fatto che per essa l’Euro è un “Marco” sottovalutato.
Se infatti mantengo il deficit-spesa pubblica in misura tale da sostenere la domanda – cosa che in Italia è cessata pacificamente dal dopo Maastricht attraverso una spettacolare serie di saldi primari (ovvero la spesa pubblica è inferiore alla tassazione n.d.s.), senza pari nella storia dell’economia moderna – , il risparmio corrisponde a tendenziale piena occupazione (cioè si traduce quasi integralmente in investimenti). E questa è la volontà esplicita dei citati artt. 1, 3 e 4 Cost.
Ma la Costituzione vuole anche, con lo Strettamente connesso art. 47 Cost., che il risparmio sia diffuso: e ciò per favorire l’accesso popolare alla proprietà dell’abitazione, alla proprietà diretta coltivatrice e all’investimento azionario nei grandi complessi produttivi del paese”, oltreché per favorire la tutela e lo sviluppo dell’impresa artigiana (art. 45, comma 2, Cost.) cioè della PMI correttamente intesa.
Se dunque azzero o riduco il deficit secondo un tetto immutabile determinato da un Trattato, il possibile risparmio sarà, nella migliore delle ipotesi, concentrato nelle imprese esportatrici e nullo o negativo per tutto il resto della popolazione italiana (ecco come si crea un crisi che diventi la leva per la cessione della sovranità nazionale e la cancellazione della personalità giuridica del paese. n.d.s.).
Seguendo dunque la politica dettata dall’adesione all’euro, la Costituzione viene integralmente sovvertita (come evidenziò Guido Carli sin dal 1974): non solo abbandonando irreversibilmente la piena occupazione e la tutela dei diritti, ma avrò anche una drastica riduzione dell’accesso alla proprietà dell’abitazione -con crisi del settore edilizio- delle imprese artigiane – con progressiva (e volontaria n.d.s.) distruzione del tessuto delle piccole e medie imprese -, e un drammatico diffondersi delle insolvenze – cioè delle “sofferenze” che poi innescano il credit crunch-.
Tutto questo è sotto i vostri occhi: e la Costituzione non lo permette. O non lo permetterebbe” (Luciano Barra Caracciolo, Presidente della V sez. del Consiglio di Stato).
Ecco che in questo contesto dove palesemente lo Stato non può fare politica monetaria si innestano i cd. parametri di convergenza che, da Maastricht in poi, costituiscono una cessione manifesta di sovranità in materia di politica economica ed impongono il verificarsi della crisi desiderata da Mario Monti. Il deficit viene attaccato in un modo mai visto prima nella storia al fine di portare il paese in recessione.
L’esame della normativa è semplice e davvero sconcertante:
Il protocollo n. 12 allegato al Trattato di Maastricht “Sulle procedure di disavanzo eccessivo” inaugura concetti tristemente noti:
-il vincolo del 3% per il rapporto tra disavanzo pubblico e pil
-il vincolo del 60% nel rapporto fra debito pubblico e pil
Ovviamente già con tali criteri si verifica esattamente quanto sin d’ora dibattuto ovvero la cancellazione della tutela del risparmio visto che si costringe l’Italia a tassare più di quanto spende. Il limite del 3% del PIL è superato già dal semplice computo degli interessi sul debito pubblico. L’Italia infatti ha collezionato, come rileva il giurista Barra Caracciolo, avanzi primari in serie in questi anni (ovvero ha avuto una spesa pubblica inferiore alle entrate fiscali) e la conseguenza di ciò non è stata vedere i propri conti in ordine ma esattamente l’opposto, l’Italia è morta (assassinata!) di avanzo primario.
Con il regolamento n. 1466/97, prima ancora dell’entrata in vigore dell’Euro, vennero immediatamente stabiliti obiettivi di convergenza e stabilità ancora più pregnanti. Il regolamento, redatto a cura della Commissione Europea, ha precisamente ristretto i margini di bilancio già risicati previsti dai Trattati, specificatamente nel citato protocollo n. 12. Il Regolamento n. 1466/97 anticipa il pareggio in bilancio oggi diventato addirittura tragica realtà costituzionale: “l’obiettivo a medio termine di una situazione di bilancio della pubblica amministrazione, con un saldo prossimo al pareggio o in attivo e il percorso di avvicinamento a tale obiettivo nonché l’andamento previsto del rapporto debito/PIL”.
Segue poi proprio nel novembre 2011 (ovvero nel momento che in Italia viene in posto con la forza da BCE il Governo Monti) l’ulteriore inasprimento del patto di stabilità e crescita con una serie di Regolamenti meglio noti con i nomi di six Pack e two pack (si rinvia all’esposto per la numerazione), con i quali si codifica ciò che accade in questi giorni, ovvero il controllo esterno sulla legge di stabilità (una volta si chiamava legge finanziaria) ad opera di Bruxelles, l’applicazione del limite dello 0,5% nel rapporto fra disavanzo e pil annuo (con il 3% avevamo già una pesante recessione…) e l’obbligo di ridurre il debito di 1/20 l’anno fino ad arrivare ad un rapporto pari al 60% del PIL (Questo diviene il vero e proprio meccanismo che Monti chiamerebbe di enforcement per obbligarci a cedere la sovranità nazionale residua).
Inoltre con i regolamenti menzionati si attua un semi automatismo sanzionatorio. La commissione applica le sanzioni agli Stati ed il Consiglio può solo respingerle con voto a maggioranza qualificata.
Viene altresì introdotto il controllo esterno della nostra legge di Stabilità con presentazione della stessa a Bruxelles con possibilità per la commissione entro due settimane dalla ricezione di chiedere una revisione della stessa.
Il successivo Trattato sulla stabilità il coordinamento e la governance nell’unione economica e mometaria (cd. Fiscal Compact) ratificato con Legge LEGGE 23 luglio 2012, n. 114 (Governo Monti) non fa altro che ribadire tale disciplina, elevandola nel rango delle fonti dell’Unione, prevedendo la raccomandazione per gli Stati di inserire, preferibilmente in Costituzione, ed il pareggio in bilancio cosa che l’Italia ha immediatamente fatto con la modifica dell’art. 81 del 2012.
Con legge Costituzionale n. 1 del 20 aprile 2012 (ancora governo Monti) è stato così riformato, limitando la sovranità dello Stato Italiano in favore dell’Unione Europea, il l’art. 81 Cost.“Lo Stato assicura l’equilibrio tra le entrate e le spese del proprio bilancio, tenendo conto delle fasi avverse e delle fasi favorevoli del ciclo economico.
Il ricorso all’indebitamento è consentito solo al fine di considerare gli effetti del ciclo economico e, previa autorizzazione delle Camere adottata a maggioranza assoluta dei rispettivi componenti, al verificarsi di eventi eccezionali.
Ogni legge che importi nuovi o maggiori oneri provvede ai mezzi per farvi fronte”.
Ogni politica di espansione monetaria è stata così messa definitivamente al bando e nel nome della stabilità dei prezzi si è verificata l’abrogazione tacita dell’art. 47 Cost.
Oggi la Repubblica Italiana non tutela più lavoro e risparmio ma tutela unicamente il totem della forte competitività del mercato e della stabilità dei prezzi, si è sostanzialmente tornati ad un modello giuridico arcaico che farebbe certamente inorridire i padri costituenti. Un modello ovviamente illegittimo data la manifesta superiorità dei principi fondamentali della Costituzione e dei diritti inviolabili dell’uomo sul diritto internazionale come ribadito dalla recentissima (e splendida) sentenza n. 238/2014 della Corte Costituzionale dello scorso mese di ottobre.
Il quadro dunque è oltremodo manifesto.
Esiste dunque una crisi causata ad arte con strumenti di politica economica deliberatamente recessivi codificati nei Trattati che danno corso ad una crisi che impone ai consociati l’accettazione di cessioni di sovranità (fatto palesemente illecito ex artt. 1 ed 11 Cost.). Ciò avviene in quanto, come diceva Monti, il costo psicologico della crisi neutralizza la resistenza dei cittadini. Ecco la prova provata dell’atto violento con cui si cancellano definitivamente sovranità ed indipendenza nazionale.
Per redigere il capo d’imputazione è dunque sufficiente la semplice trascrizione dell’art. 241 c.p.
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2. Sulla sussistenza del reato di cui all’art. 243 c.p.
L’art. 243 c.p. punisce “Chiunque tiene intelligenze con lo straniero affinché uno Stato estero muova guerra o compia atti di ostilità contro lo Stato italiano, ovvero commette altri fatti diretti allo stesso scopo, è punito con la reclusione non inferiore a dieci anni. Se la guerra segue, si applica la pena di morte; se le ostilità si verificano, si applica l’ergastolo”.
La definizione di atto d’intelligenza è ovviamente letterale: “accordo”.
I Trattati UE sono dunque pacificamente atti d’intelligenza, compreso il Trattato sulla stabilità il coordinamento e la governace dell’Unione monetaria ed economica europea del 2012 a seguito del quale si è affermato il principio del pareggio in bilancio, principio come abbiamo detto palesemente contrario al nostro modello costituzionale.
La cessione della sovranità nazionale è invece l’atto più ostile che si possa immaginare nei confronti del paese.
In sostanza uno Stato non più sovrano cessa di avere personalità giuridica esattamente come avverrebbe con un’occupazione militare.
Riassumendo quanto già detto i Trattati costituiscono un accordo con cui si è matematicamente imposta, come ampiamente dimostrato, una recessione violenta. All’avanzare della crisi addirittura i vincoli di stabilità e convergenza, come abbiamo visto, sono stati deliberatamente inaspriti con la previsione di strumenti di costrizione quali il MES e l’ERF per i quali si rinvia all’esposto.
Tale azione assieme alla cessione della sovranità monetaria rendono l’Italia un paese sostanzialmente occupato con la conseguente perdita della propria personalità giuridica. Un paese dunque obbligato a cedere sovranità.
Coloro che hanno perseguito tali politiche (mi riferisco ovviamente a tutte le più alte cariche delle istituzioni dal 1992 ad oggi) sono colpevoli per quanto specificato rimanendo da delibare unicamente in marito alla sussistenza dell’elemento psicologico del reato.
Errore o volontà? Questa domanda è già risolta per Monti autore di una piena confessione e per gli altri che hanno rivendicato il disegno di ottenere la cessione di sovranità nazionale tra cui tra gli altri Mario Draghi, il Ministro Padoan, Renzi e Giorgio Napolitano stesso.
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Insomma da quanto si è rappresentato è oltremodo evidente che nella quotidianità, Magistrati qualificati come quelli che leggeranno il presente atto, esaminano quotidianamente fattispecie ben più complesse di questa, non esitando a rilevare i conseguenti reati come la legge peraltro impone loro. Oggi dunque non si comprende come la distruzione della personalità giuridica del paese possa essere vista come un fatto pienamente lecito da coloro i quali hanno l’obbligo, anch’esso penalmente sanzionato, dell’esercizio dell’azione penale.
Obbligo di azione penale che sussisterebbe anche a carico dell’Avv. Marco Mori (autore materiale dell’esposto peraltro addirittura pubblico sul sito www.studiolegalemarcomori.it), laddove si rilevassero i presupposti della calunnia che non si vede come possano mancare in presenza di un atto “sconnesso e delirante”.
L’esponente dunque ha fatto quanto in suo potere, ora il compito di salvare il paese dal colpo di Stato in corso è nelle mani di Magistrati coraggiosi e rispettosi della Costituzione.
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Per tutto quanto sopra esposto si chiede che l’Ill.mo Giudice per le Indagini Preliminari:
– respinga l’immotivata richiesta di archiviazione proposta dal P.M. Dott.ssa Valeria Sanzari;
– disponga che il P.M. formuli il capo di imputazione data l’evidenza della sussistenza delle fattispecie delittuose in esame alla luce della dichiarazione di carattere palesemente confessorio rese dal Sig. Mario Monti;
– nel caso in cui il GIP ritenga necessarie ulteriori indagini, fermo restando che si ritiene che il fatto sia provato documentalmente, voglia disporre la prosecuzione delle stesse secondo gli indirizzi di cui all’esposto ovvero attraverso l’escussione quali sommari informatori persone a piena conoscenza dei fatti ivi narrati ovvero: Bini Smaghi, Hans-Werner Sinn, Alan Friedman, Carlo De Benedetti, Romano Prodi, Angela Merkel, José Barroso, José Luis Rodriguez Zapatero, Massimo Garavaglia, l’ex Ministro del Tesoro U.S.A. Geithner, Giulio Tremonti, Silvio Berlusconi, Antonino Galloni, Nigel Farage, Jean-Claude Juncker. Altresì attraverso l’acquisizione delle indagini già compiute dalla Procura di Trani in riferimento all’accusa di manipolazione del mercato mossa nei confronti delle agenzie di rating Fitch e Standard & Poor’s per i fatti a cavallo tra il 2011 ed il 2012, fatti palesemente connessi con il presente procedimento;
– fissare udienza di comparizione delle parti in Camera di Consiglio ai sensi e per gli effetti dell’art. 410 c.p.p.
Con osservanza,
Rapallo, 10 novembre 2014
Avv. Marco Mori
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Con provvedimento del 13 novembre 2014, appena notificato, il GIP del Tribunale di Lanciano, Dott. Francesco Marino ha dichiarato inammissibile l’opposizione:
Contrariamente al provvedimento del PM, l’archiviazione del GIP, rispetta la continenza espositiva non contenendo alcun riferimento immotivatamente offensivo ma limitandosi a dichiarare che nell’esposto sono state presentate unicamente osservazioni critiche di natura disparata su tematiche politico-economiche dalle quali è davvero impossibile enucleare ipotesi specifiche di reato.
Fermo il rispetto per il Magistrato, è chiaro che in materia manca ancora la cultura sufficiente a comprendere i fatti che stanno alla base dei comportamenti illeciti volti allo smantellamento dell’Italia come nazione indipendente e sovrana.
Questo cosa comporta? Molto semplice, a Lanciano si è persa solo una battaglia, ma la guerra va avanti e la democrazia certamente vincerà. Proprio oggi è partita un’altra opposizione all’archiviazione a L’Aquila e se voi cittadini continuerete a depositare la denuncia penale (CLICCA QUI) aumenterete le possibilità di vittoria moltiplicando i procedimenti. Ferma l’importanza, anche informativa della divulgazione del contenuto dell’esposto di cui mi assumo come sempre la piena e totale responsabilità, prima o poi sfonderemo e manderemo a processo i responsabili della drammatica situazione del nostro paese. I fatti sono lampanti ed ai Magistrati non resta che valutare la sussistenza o meno dell’elemento psicologico proprio dei reati di cui agli artt. 241 e ss. c.p.
Andiamo avanti!