Invocate l’Europa di Ventotene? Ma avete mai letto il manifesto? È solo un inno alla dittatura.
Altiero Spinelli, Ernesto Rossi e Eugenio Colorni al confino sull’isola di Ventotene scrissero, nell’agosto 1941, un manifesto dal titolo “Per un’Europa libera e unità”. Per chi ama fermarsi al titolo, tanto deve essere bastato per elogiare questo lavoro.
Proprio in occasione dei sessant’anni dei trattati avrete certamente sentito invocare nuovamente i padri fondatori dell’Europa unita. Ci raccontano che dobbiamo ritrovare il loro spirito per cambiare questa Europa delle banche e della finanza. La gente, in gran parte, purtroppo si beve questa panzana. Ma sapete perché?
Appunto perché non sanno cosa ci sia scritto realmente sul manifesto, non sanno che il manifesto era semplicemente l’apologia di una dittatura. I tre somari di Ventotene, perché non si possono trovare altri termini per definirli, teorizzavano l’uso della forza per imporre l’integrazione e desideravano un’élite tecnocratica al vertice del nuovo super Stato.
Tutto questo perché, secondo loro, la gente era ed è stupida e dunque la democrazia non funziona, causando ciclicamente l’avvento di nazionalismi e guerre. In sostanza per evitare nuovi conflitti si finiva con invocare, quale soluzione, la totale vittoria del totalitarismo.
Trovate differenze con il giustamente disprezzato Mario Monti, che va in TV a dire che non sono le pecore a dover condurre il pastore. Io non ne trovo, voi? Il manifesto è l’essenza di questo pensiero criminale, e proprio per questo è stato scelto alla basa dell’attuale dittatura UE. Certo il modello economico del manifesto era socialista, ma questo non sana i rimanenti ragionamenti.
Ma non credetemi sulla parola, se non avete il tempo per leggere l’intero manifesto (comunque non lungo), trovate almeno quello per leggere alcuni dei suoi stralci più vergognosi. Ve li riporto qui sotto.
È davvero l’ora che la realtà venga svelata. Il manifesto già dopo poche righe dal suo inizio apre con la sconvolgente affermazione che il modello democratico, basato sui singoli Stati indipendenti, ha in sé i germi del nazionalismo imperialista.
Un automatismo privo di senso logico, che però diventa il punto fermo da cui parte tutto il ragionamento successivo. Uno Stato, può essere aggressivo verso i vicini a prescindere dalle sue dimensioni. Anzi, a dirla tutta, è certamente più pericoloso in questo senso uno Stato più grande e potente di tante piccole realtà, specie quando esse non adottano politiche mercantiliste, ma una sana autarchia.
L’imperialismo punta a creare, non a caso, un dominio sulla più ampia fetta possibile di territorio. Anche Hitler voleva l’Europa unita, ma ovviamente la voleva sotto il proprio dominio. Considerare il super Stato la ricetta all’imperialismo è follia dunque. La ricetta alle dittature è un’autentica cultura democratica ed una continua azione dello Stato, con decisioni da prendere in un Parlamento realmente rappresentativo della volontà popolare, diretta a limitare egoismo ed individualismo.
È folle pertanto teorizzare un unico grande totalitarismo mondiale retto da pochi illuminati al fine di garantire la pace. Eppure è proprio questa l’essenza del messaggio del manifesto. Ma come vi ho detto, non credetemi sulla parola. Leggiamo assieme alcuni passaggi.
“Per costituire un largo stato federale, il quale disponga di una forza armata europea al posto degli eserciti nazionali, spazzi decisamente le autarchie economiche, spina dorsale dei regimi totalitari, abbia gli organi e i mezzi sufficienti per fare eseguire nei singoli stati federali le sue deliberazioni, dirette a mantenere un ordine comune, pur lasciando agli Stati stessi l’autonomia che consente una plastica articolazione e lo sviluppo della vita politica secondo le peculiari caratteristiche dei vari popoli”.
Lo schema è dunque uno Stato federale armato che imponga le sue volontà ai membri attraverso uno strumento di costrizione ben preciso: l’esercito. Ma questo è ancora nulla.
In riferimento poi alla Costituzione a Ventotene scrivono:
“Se il popolo è immaturo se ne darà una cattiva, ma correggerla si potrà solo mediante una costante opera di convinzione. I democratici non rifuggono per principio dalla violenza, ma la vogliono adoperare solo quando la maggioranza sia convinta della sua indispensabilità, cioè propriamente quando non è più altro che un pressoché superfluo puntino da mettere sulla i. Sono perciò dirigenti adatti solo nelle epoche di ordinaria amministrazione (omissis…). Nelle epoche rivoluzionarie, in cui le istituzioni non debbono già essere amministrate, ma create, la prassi democratica fallisce clamorosamente. La pietosa impotenza dei democratici nelle rivoluzioni russa, tedesca, spagnola, sono tre dei più recenti esempi.
In tali situazioni, caduto il vecchio apparato statale, con le sue leggi e la sua amministrazione, pullulano immediatamente, con sembianza di vecchia legalità o sprezzandola, una quantità di assemblee e rappresentanze popolari in cui convergono e si agitano tutte le forze sociali progressiste. Il popolo ha sì alcuni bisogni fondamentali da soddisfare, ma non sa con precisione cosa volere e cosa fare.
Il popolo è dunque, per i nostri “illuminati padri fondatori”, stupido e non sa cosa vuole, inoltre dicono, per domarlo, serve anche la forza. Che autentici spiriti democratici…
Ed ancora:
“Nel momento in cui occorre la massima decisione e audacia, i democratici si sentono smarrirti non avendo dietro uno spontaneo consenso popolare, ma solo un torbido tumultuare di passioni; pensano che loro dovere sia di formare quel consenso, e si presentano come predicatori esortanti, laddove occorrono capi che guidino sapendo dove arrivare (omissis…). La metodologia politica democratica sarà un peso morto nella crisi rivoluzionaria. Un vero movimento rivoluzionario dovrà sorgere da coloro che hanno saputo criticare le vecchie impostazioni politiche; dovrà sapere collaborare con le forze democratiche, con quelle comuniste, ed in genere con quanti cooperano alla disgregazione del totalitarismo, ma senza lasciarsi irretire dalla loro prassi politica”.
In sostanza il super Stato si deve fare senza farsi condizionare dal normale dibattito democratico, ma imponendo la sua mente illuminata.
Perciò questi fantomatici leader del partito rivoluzionario erano immaginati così dai tre somari:
“Il partito rivoluzionario non può essere dilettantescamente improvvisato nel momento decisivo, ma deve sin da ora cominciare a formarsi almeno nel suo atteggiamento politico centrale, nei suoi quadri generali e nelle prime direttive d’azione. Esso non deve rappresentare una coalizione eterogenea di tendenze, riunite solo transitoriamente e negativamente, cioè per il loro passato antifascista e nella semplice del disgregamento del totalitarismo, pronte a disperdersi ciascuna per la sua strada una volta raggiunta quella caduta. Il partito rivoluzionario deve sapere invece che solo allora comincerà veramente la sua opera e deve perciò essere costituito di uomini che si trovino d’accordo sui principali problemi del futuro. Deve penetrare con la sua propaganda metodica ovunque (omissis…). Durante la crisi rivoluzionaria spetta a questo partito organizzare e dirigere le forze progressiste, utilizzando tutti quegli organi popolari che si formano spontaneamente come crogioli ardenti in cui vanno a mischiarsi le forze rivoluzionarie, non per emettere plebisciti, ma in attesa di essere guidate.
Esso attinge la visione e la sicurezza di quel che va fatto, non da una preventiva consacrazione da parte della ancora inesistente volontà popolare, ma nella sua coscienza di rappresentare le esigenze profonde della società moderna.
Ed infine arriva la piena confessione, si chiama il tutto con la giusta parola: dittatura.
Testualmente si legge: “Dà in tal modo le prime direttive del nuovo ordine, la prima disciplina sociale alle nuove masse. ATTRAVERSO QUESTA DITTATURA del partito rivoluzionario si forma il nuovo stato e attorno ad esso la nuova democrazia“.
Cari padri fondantori dell’Europa, è davvero importante ricordarci di voi, è importante ricordarci che dovete andare affanculo voi e i vostri deliri.
Noi vogliamo la democrazia, noi vogliamo il dibattito, noi vogliamo un popolo sovrano, libero anche di sbagliare, senza pastori armati a guidarlo!
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Avv. Marco Mori – Riscossa Italia – autore de “Il Tramonto della democrazia – analisi giuridica della genesi di una dittatura europea” disponibile on line su ibs